UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

La reputazione

Estasi e terrore (sottotitolo: dai Greci a Mad Men) di Daniel Mendelsohn (Einaudi) è l’ennesima dimostrazione di quanto sia opportuno per l’uomo moderno non dico studiare filologia ma almeno leggerli questi benedetti classici. Me ne rendo conto (forse è la miliardesima volta, ma di certo non sarà l’ultima) mettendo in fila tre eventi insieme banali e tragici di questo agosto banale e tragico: l’atleta nella Senna, il naufragio del Bayesian e la crema di Sinner. Tre eventi (insisto, banali e tragici) che hanno in comune quello che nella nostra epoca è il massimo comune denominatore per eccellenza: la reputazione. E la reputazione ci riporta immediatamente alla classicità, il mondo dove gli uomini ambiscono alla gloria, coronamento supremo di un’esistenza condotta all’insegna del valore supremo della civiltà omerica: l’aretè, la virtù che distingue il coraggioso dal vile, il forte dall’inetto, l’eroe che sarà celebrato e ricordato dall’ombra destinata all’oblio. Destino dell’eroe (inutile ricordarlo?) è la bella morte, quella che si conquista valorosamente in battaglia.

Estasi-e-terrore-Meldensohn

Ricordo un’estate di millanni fa quando da solo come un pirla stavo a guardare le Falesie di Entretat e nel frattempo era scoppiato lo scandalo della Perrier. Ma come, ma cosa, ma dove, strillavano i giornali (all’epoca c’erano ancora i giornali); ma cosa, ma dove, ma com’è possibile che un’acqua minerale che costa come uno champagnino frizzi di allegri colibatteri?!?! Scandalo, scandalissimo: il titolo – nel senso di azione borsistica – affonda ed è tutto un pullulare di “dove andremo a finire (signora mia)”. Meno di due settimane e la querelle era già morta e sepolta. Merito di sapienti (sapientissimi) uffici stampa e geniali comitati di crisi che la sanno più lunga persino del polùmetis Odisseo. Grazie a loro (grazie a noi) la reputazione della Perrier era ancora salda, persino più della verginità di Elisabetta I.

Mi si dirà che il problema non sussiste. O meglio, non sussiste più. Stante il fatto che quello che un tempo era il “cittadino comune” oggi è diventato il “consumatore comune” dotato di una memoria che gareggia in vacuità con quella di un canarino meningitico. Ma è un ragionamento (parzialmente) sbagliato. Fateci caso: dei 42 morti del ponte Morandi non parla più nessuno, né tantomeno si parla di responsabilità oggettive e soggettive; degli incidenti accorsi alla povera signora Ferragni ogni giorno è invece un buon giorno per lo sputo quotidiano. Ergo, la memoria dei canarini meningitici, alias consumatori comuni, è più selettiva di una fetta biscottata la quale, puntualmente, si spezza in tre e altrettanto puntualmente cade dalla parte diremmo sbagliata; la quale – nel dubbio lo esplicito – è regolarmente quella doviziosamente spalmata di confettura.

Se ne conclude che con la reputazione (evito di scrivere reputation così come cerco di stare lontano da vision mission, i vocaboli usati di norma da chi l’inglese lo pratica come io il sanscrito) non si scherza. Imprescindibile, ma altrettanto e forse persino più imponderabile, la reputazione è la nuova dèa bendata che trasforma il saggio in sciocco e l’avveduto in malaccorto. Ne abbiamo avuto contezza quest’estate con la storia della triatleta ricoverata in ospedale dopo la nuotata nella Senna, vicenda più falsa di una moneta di princisbecco nella quale siamo caduti in molti, io tra i primi. Invenzione degli opifici post-sovietici, impegnatissimi a infamare una manifestazione alla quale Santa Madre Russia non era stata invitata per note ragioni di indegnità morale: non si gioca con chi rapisce bambini e bombarda scuole e ospedali.

L’altra vicenda “reputazionale” è anch’essa tragica. Il giorno dopo il naufragio del Bayesian – coi cadaveri, si fa per dire, ancora caldi – sia pur privo di nozioni di ingegneria navale c’è stato chi s’è premurato di informarci che quella barca non era sicura. Progettata e costruita male, era inadatta ad affrontare eventi severi. Immediate – e mi domando quanto inutili – le rimostranze dei vertici dell’impresa che ha acquisito il brand Perini, il prestigioso cantiere navale che più di vent’anni fa ha costruito il veliero di 52 metri affondato a Palermo. Mentre l’acqua è entrata con terrificante velocità nei boccaporti lasciati (colpevolmente?) aperti, chissà quanto tempo ci vorrà per, come si dice in legalese, ricostruire la catena delle responsabilità.

L’ultima storia non si è ancora conclusa. Ogni giorno leggiamo nuove dichiarazioni e nuove prese di posizione. La “crema di Sinner”, sia pur incapace di migliorare qualsivoglia capacità “prestazionale” (il virgolettato segnala un’altra delle parole che espurgherei con ferro e col fuoco dal vocabolario degli italiani) favorisce il fiorire di mai abbastanza sopite effervescenze moralistiche: “Ha avuto un trattamento di favore”. “Altri invece hanno dovuto aspettare mesi per avere la sentenza”“Ha potuto permettersi i migliori avvocati, lui, i più costosi”. Il rosario ipocrita di chi, invece di rallegrarsi con l’innocente che ha avuto giustizia con (ragionevole) rapidità, tira in ballo questioni di soldi fingendo di non sapere che Sinner il denaro di cui dispone l’ha guadagnato grazie al talento.

Per nostra fortuna il mondo omerico è finito da un pezzo. Già nell’Odissea scopriamo che Achille – l’orgoglioso campione nato per trionfare in guerra – rimpiange la vita: preferirebbe essere il servo di un umile porcaio piuttosto che regnare sulle ombre dei morti. Baratterebbe la sua reputazione, il suo onore e la sua gloria, pur di vedere ancora la luce del sole. Benvenuta modernità, verrebbe da dire. Se non fosse che anche la modernità (ripetiamolo in coro: benedetta e strabenedetta) presenta il suo conto. O meglio, i suoi conti ché sono più d’uno. Il più salato è l’uscita dall’infanzia. Quello stato di comoda minorità che ci fa stare al calduccio protetti da un morbido strato di convenzioni e credenze. Gli automatismi che ci evitano la fatica della verifica, la noia del controllo, il dispiacere che inevitabilmente procura l’esercizio del pensiero. In fondo, anche Odisseo pur sagace com’era aveva bisogno delle dritte di Atena.

I social: