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Allonsanfàn
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Winkler e il mistero Germania

Senza scomodare il supremo inquilino di Berggasse 19, parrebbe assodato che in ogni umano civilizzato alberghi un piccolo Sisifo. Il mio si chiama Germania. Ovvero l’impossibilità di spiegare come la nazione più progredita culturalmente e tecnologicamente si sia gettata con volenterosa voluttà nell’abisso del nazionalsocialismo.

Ogni volta mi pare di essere vicino alla vetta e ogni volta riprecipito nonostante gli aiuti di amici generosi che mi hanno segnalato questa o quella lettura. Tutte importanti, per carità, eppure la risposta al perché un popolo intero si sia entusiasticamente consegnato al nazionalsocialismo continuo a non trovarla. Nonostante ormai dubiti ci sia (la Storia non fa parte del novero delle scienze dure, per capirci quelle che consentono verifiche sperimentali) Sisifo m’impone di continuare a provare.

L’ultimo aiuto me l’ha offerto Heinrich August Winkler con il suo I tedeschi e la rivoluzione. Una storia dal 1848 al 1989 (Donzelli), ennesima conferma della validità della Ecole des Annales riguardo alle strutture storiche di longue durée. I tedeschi e la rivoluzione è una lettura fortemente raccomandabile non solo a chi condivida il mio piccolo Sisifo, ma anche e soprattutto all’indomani degli ampiamente previsti risultati elettorali tedeschi in Turingia e in Sassonia. “La rivoluzione pacifica del 9 novembre del 1989 e la successiva riunificazione della Germania hanno portato a soluzione la questione tedesca che aveva segnato la vicenda storico-mondiale per oltre un secolo”. Eppure, la storia che “pareva finita” non finisce mai. Come scrive Angelo Bolaffi nella prefazione “La Germania è… l’epitome della condizione di tutta l’Unione europea, leader mondiale del commercio e modello planetario di regolamentazione giuridica delle relazioni tra Stati ma soggetto assolutamente impreparato a fare i conti con il ritorno della guerra e con la fine dell’era del multilateralismo”.

Winkler I tedeschi e la rivoluzione Donzelli

L’Europa, come la Germania agli inizi del Novecento, è senza dubbio il luogo più civilizzato del pianeta. Dove la vita è più sicura e piacevole e le persone più garantite e tutelate nelle loro espressioni individuali. Eppure, ogni volta di fronte all’abisso e alla barbarie, l’Europa ritorna ad essere quel coacervo di piccoli interessi e grandi timori che la rendono incapace di nobiltà e grandezza. Come pare abbia detto il supremo inquilino di Berggasse 19, “nell’impossibilità di poterci veder chiaro, almeno vediamo chiaramente le oscurità”.

Nella foto, Berlino 1989

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