È un romanzo, un memoir, un saggio letterario sul disagio psichico e sul suicidio, condotto in prima persona, ma è – tolte le etichette – la coraggiosa condivisione di un’esperienza, resa da una scrittrice, usando i ferri (e pure le malizie) del mestiere.
Chi legge capisce poco a poco che Fuani Marino (Napoli, 1980) rivela se stessa e la sua vita – ritornata meravigliosa e però rimasta difficile – in una condizione di generosa esposizione, persino di rischio e di azzardo. Breve: qui non c’è un comodo racconto davanti al caminetto con il te caldo e con i biscotti, dopo che finalmente è passato il temporale.
Svegliami a mezzanotte (Einaudi) è la reazione a un gesto estremo, un salto nel vuoto tutt’altro metaforico, di cui conosceremo sia il prima sia il dopo.
Il testo ha due forti motivi per interessare: affronta in modo lucido sentimenti e situazioni vicini a tutti, e riflette, in modo quasi politico, sullo status del malessere psichico in Italia e su come questo è stato detto in letteratura: scorrono, sempre giustificati dal racconto, i nomi e le vicende di autori e personaggi celebri, di Sylvia Plath e Virginia Woolf, di Foster Wallace e Franzen, di Anna Karenina e Madame Bovary.
Fuani Marino, giornalista forse mancata (lo dice il suo cv umano), è invece una reporter dell’anima, sua e nostra, e una narratrice sicura, semplicemente capace di trasmettere il senso di una morte e di una rinascita.