È un musicista il protagonista di L’inconveniente di essere amati (Bompiani), nuovo romanzo di Alcide Pierantozzi (1985, San Benedetto del Tronto).
Si chiama Paride Negri, ha 33 anni, e torna al paese (immaginario) di Calanchi tra Marche e Abruzzo, accompagnato dalla sua chitarra feticcio, una Gibson Les Paul, scassata da un colpo di pistola sparato dal produttore discografico e amante Marraffa.
Mancava da cinque anni, da quando morì la madre, che gli chiedeva di suonarle Richard Thompson, cantautore cult appartenente alla diaspora del folk britannico. La madre si era ammalata nel 2012, proprio mentre stava uscendo il secondo album di Paride, Coconut.
Ai tempi della scuola, si apprende che Negri era già un local hero, e una scritta sul muro lo esaltava così: Fai ammattì sembri il cantante dei Velvet, cioè Lou Reed, in seguito idolo del rock più maledetto e glam. Se fate due conti, attribuirete una gran cultura rock ai calanchesi oppure converrete che è un anacronismo. A meno che il riferimento non sia ai VU, ma alla omonima ma assai meno blasonata band romana capitanata da Pier Ferrantini.
Può darsi che col tempo Paride abbia commercializzato il suo estro perché le vette del suo successo sono un Sanremo Giovani e un concerto di Capodanno del 2016, sul palco con Nina Zilli e Calcutta (Pierantozzi gli calcola 422.119 visualizzazioni su YouTube).
Comunque. Negri ha pure un lato heavy metal. Mentre si allena in palestra, mette in cuffia i Metallica di Nothing Else Matters. Per la sua renitenza a guidare, viene paragonato dall’amica Francesca a Ozzy dei Black Sabbath, neopatentato a sessant’anni, e sempre Francesca, forse per farlo incazzare, gli trova una somiglianza con Pino Scotto, hard rocker ruspante e piuttosto trash.
Ma vediamolo all’opera. Per la fascinosa zia, che gli mette a disposizione un ukulele (e viene in mente Eddie Vedder solista), Paride esegue la canzone a cui sta lavorando. Testo: Voglio solo te/ Voglio solo rivederti/ Il peso del tuo amore/ Mi ha steso nella polvere
Forse con la Gibson, che è una chitarra nobile e versatile, sarebbe venuta meglio. La zia è ugualmente conquistata – forse troppo, ma i fans sono fans – anche perché non ha mai conosciuto qualcuno che sappia “tradurre in parole l’indecifrabile che ci portiamo dentro” e poi, quando Paride fa una certa smorfia, “da l’impressione di camminare sulle rive assordanti del tempo”.
D’altronde, più tardi, Paride confessa alla donna che quando la avvicina è come se sentisse “il sospiro che fa Céline Dion al minuto tre e zero nove di My Heart Will Go On… e il ventinovesimo secondo di Holocene di Bon Iver”. Una regina del mainstream e un principe dell’indie atmosferico, cui viene aggiunta per soprammercato una fettina di Amy Winehouse.
Segue il pensiero di Paride: l’esistenza delle persone è simile a una canzone, e via con citazioni di pezzi-paradigmi-di-vita di Franco Battiato e Niccolò Fabi.
Ma stop. Ci fermiamo esattamente qualche capitolo dopo, quando il nostro chiama al cellulare Francesco Gabbani, per fargli cantare in vivavoce al nipotino Occidentali’s Karma.
La lettura musicale termina perché Paride Negri è troppo generalista per farne un ritratto più preciso: canticchiando Lana Del Rey e sentendo in cuffia l’islandese Ólafur Arnalds o un trito Venditti, ci ha però indicato che qualsiasi tipo di musica può accompagnare, senza tradirli, i nostri sentimenti, gli eventi e le pause, le gioie e gli scacchi, gli stop and go della vicenda umana. Siamo a un passo dal celebre pensierino di Marcel Proust sulla musica leggera…
Già, ma a chi somiglia come cantautore e performer? A orecchio, e facendo una media, Paride Negri potrebbe essere accostato al Francesco Sarcina de Le Vibrazioni. Oppure, meglio, a Max Gazzé. Infatti, a un certo punto della sua peregrinazione emozionale, Negri pensa di scrivere una canzone alla Gazzè, Il signor Mai, su due giganti che giocano al tiro alla fune, il Sempre e il Mai. Piacerebbe ascoltarla.
Nel frattempo ci è venuto in mente un ritorno a casa simile a questa storia d’amore e fantasmi materni: il film Non pensarci di Gianni Zanasi (2007), diventato poi un serial, ma lì Valerio Mastandrea era più facile da etichettare, essendo un punk invecchiato e simpaticamente sfigato.
IL LIBRO Alcide Pierantozzi, L’inconveniente di essere amati, Bompiani