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Allonsanfàn
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Elliott Murphy. Lost in Paris ma live per la generazione di FB

Può capitare che Elliott Murphy canti una in fila all’altra due canzoni leggendarie come History Lost Generation. Forse per questo conviene non mancare (o ripescare in streaming) l’appuntamento virtuale con il piccolo live show su FB, tutte le sere alle 20, voce chitarra e armonica, in quarantena da una casa di Parigi.

Elliott Murphy, quando nel 1975 era ancora una rockstar, si rovinò da solo facendo domande scomode a se stesso e al mondo. Lo scrive il critico Paul Nelson su Rolling Stone in uno dei pezzi ora raccolti nel volume Everything in an Afterthought (Fantagraphics Books).

Insonne in una lunga notte newyorchese – giunto al secondo album per una major, dopo il brillantissimo Aquashow – Murphy avvertì che i discografici in fondo amavano solo la plastica pop, quella che passava per radio, e capì che lui aveva pure perso per strada la donna della vita – lo cantò proprio in History, che comincia così: Summer in suburbia/we’d catch fireflies…

Al diavolo, dunque. Quando incise l’album Lost Generation, Murphy fece strage delle sue generose illusioni. Si trovò troppo carico di eroica chincaglieria (in Bittersweet confessò: So blind I thought I could see), troppo preso da poeti troppo maledetti (liquidò Ezra Pound in Eva Braun) e, tutto sommato, stabilì che non gli confaceva la naiveté altrui, fosse pure quella che aveva protetto il Dylan elettrico e i cupi Velvet Underground – sfottè questi ultimi parafrasandoli in musica e parole in Manhattan rock (Here comes the man/dressed in Miami tan).

Murphy live su FB

Così, con l’ultimo inchiostro da rockstar che gli era rimasto, firmò la canzone che diede il titolo all’Lp, Lost Generation, mezzo anthem e mezzo lamento, sempre secondo Nelson, cui si deve questa ricostruzione dell’opera del songwriter di Long Island.

Murphy era consapevole di esser lui stesso mezzo morto in un mondo morente, che dalla Parigi di Hemingway e dalla magica Hollywood arrivava fino alla fiammata al napalm del Vietnam. Aveva però in sé la forza di un Ahab (sostiene ancora Nelson) nel chiedere: And who divides the ocean/when a generation’s lost it’s place/and who sets the motion/of the human race?

Mi ha fatto uno strano effetto e molto piacere sentire Elliott Murphy cantare con voce arrochita dal tempo questo refrain, subito dopo a History, e assistere a una lezione di storia del rock in una sera qualsiasi, nella quarantena di FB.

Credit foto: TIlly Antoine

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