L’aveva deciso lui («Col cavolo che faccio morire il mio personaggio prima di me!»): l’ultimo capitolo della storia del commissario Salvo Montalbano avrebbe dovuto uscire solo dopo la morte del suo autore. E così è stato. Andrea Camilleri se ne è andato il 17 luglio 2019. Riccardino (Sellerio) è in libreria il 16 luglio 2020.
Io, Camilleri l’ho incontrato poco meno di due anni fa, era il novembre del 2018: sul palco del Teatro Parenti a Milano era salito appoggiandosi alla sua assistente. Già non vedeva più. La platea, affollatissima, si era alzata in piedi per applaudirlo e lui aveva applaudito noi: «Anche se non vedo vi vedo, e allora grazie!» aveva detto con il sorriso che lo avrebbe accompagnato per tutta la serata.
Il testo di Riccardino, pronto dal 2007, è una sorta di testamento spirituale dello scrittore siciliano.
Un racconto che vede un Montalbano stanco, invecchiato, che vorrebbe “scansarsi” il caso dell’omicidio di Riccardino e cedere le indagini al suo vice Mimì Augello.
Poi, mentre si reca sul luogo del delitto, avviene l’impensabile: trova una folla affacciata ai balconi (“pariva la festa di San Calò”) che grida “C’è il commissario Montalbano”, “Ma quello della tv?”, “No, quello vero”.
Tutto era cominciato quando aveva raccontato una delle sue indagini “a uno scrittore locale, tale Camilleri”, una “gran camurria d’uomo” che ne aveva fatto un romanzo, “ma siccome in Italia leggono quattro gatti”, quel primo libro non aveva fatto rumore.
Quel tale aveva poi tratto dai suoi racconti altre storie in una “lingua bastarda”, che avevano avuto un successo enorme, anche all’estero, ed erano state sceneggiate e trasmesse in tv. Così “ora tutti lo acconoscevano e lo scambiavano per quell’altro”, il suo doppio pirandelliano, quel Luca Zingaretti “che non gli assomigliava ed era di 15 anni più giovane”.
Quel giorno – il giorno dell’omicidio di Riccardino – a Montalbano girano le scatole, così in commissariato quando Catarella gli dice che aveva chiamato “il professore Cavilleri”, lo corregge: “Camilleri. Digli che non ci sono”.
Era così Camilleri, ironico e simpatico. A Milano due anni fa aveva presentato I tacchini non ringraziano (Salani) e ci aveva affascinati raccontando di quando si era innamorato di una tigre in uno zoo, salvato la cagna Baracca e i suoi 4 cuccioli sotto un diluvio, adottato il gatto Barone,strappato ai maltrattamenti di un gruppo di ragazzini sciagurati, che aveva vissuto con lui 18 anni.
«Barone» aveva detto «è stato per me più di un amico. Un vero consigliere. Quando scrivevo i miei romanzi, sempre gli chiedevo cosa ne pensasse. Se continuava a guardarmi, era un giudizio positivo. Se si girava e se ne andava, allora voleva dire che dovevo cambiare strada anch’io».
Camilleri aveva impersonato l’indovino Tiresia al Teatro Greco di Siracusa (nella foto in alto). «Lo faccio per intuire l’eternità» aveva spiegato. E a chi gli chiedeva notizie di Montalbano aveva detto: «Ho preparato una sorpresa ma spero dobbiate aspettare ancora un po’».
credit foto di apertura: Davide Mauro