Torna Parasite, di Bong Joon-Ho, primo a Cannes e agli Oscar, in versione bianco e nero: dal 24 luglio in Inghilterra, sarà disponibile anche da noi on demand
E chi sarebbe alfine lo scroccone, o il Parasite del titolo? Qui dentro c’è solo la dimostrazione che chiunque può improvvisare la maggior parte dei lavori, pure quelli cosiddetti di concetto, se ci si mette d’impegno o la necessità gli impone di aguzzare l’ingegno, ma l’arte della scrocconeria è ben lontana dal racconto.
Ma quale scroccone mai lavorerebbe compreso che può godersi senza affanno le briciole che cadono dai tavoli delle ville della ricca borghesia all over the world? E scroccone non è nemmeno il prigioniero nel sottoscala perché nessuno scroccone degno di tal nome rinuncerebbe mai al bene più prezioso del nullafacente: la libertà d’esser nessuno e di non accettare compromesso alcuno, prigione quella sotterranea ma prigioni pure le auto di cilindrata con l’autista, qualsiasi lavoro, il muro di cinta del giardino…
La trama poi è costruita sulla dabbenaggine improbabile della famiglia che vorrebbe essere colta e ricca e sugli stratagemmi risibili della contrapposta famigliola di scaltri derelitti, con gabole da prima elementare perché i conti, inutili, possano tornare: l’improvviso ritorno a casa, lo scendere le scale quando non c’è motivo che lo giustifichi… alla fine come da mainstream coreano si scatena il bagno di sangue purificatore.
Un premio Oscar al recente asse Trump-Kim Jong-un, con buona pace degli indiani di tutto il pianeta. Consueto tripudio gazzettiero condito dal luogo comune della lotta di classe che per loro, da servi, è solo occupare il medesimo posto di potere, mai desiderare altro.
La puzza della metropolitana è sexy.
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