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Allonsanfàn
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Il complotto contro l’America. Nella serie HBO, gli USA-nazi della distopia di Philip Roth

La Storia come implacabile imprevisto. E per attutire il panico, la tendenza a tramutare il disastro in epopea. È la condizione in cui si trovano a vivere, più o meno disperati, alcuni ebrei di Newark, NJ: sempre più alieni in un’America che si è dichiarata neutrale nella seconda Guerra Mondiale, e in cui il presidente Lindy, già sodale di Hitler negli anni Trenta, evita un bagno di sangue al suo Paese, assecondando un’altra carneficina.

Lindy cioè Lindbergh, proprio lui, l’asso dell’aviazione, che batte a sorpresa, pure aiutato da un rabbino poco o molto lungimirante, quel vecchio arnese in carrozzella di FDR. America First è il motto di Lindy, il quale volteggia alato a Washington D.C. sulle teste dei connazionali plaudenti in continua rievocazione della trasvolata oceanica sullo Spirit of St Louis…

Il Philip Roth distopico di The Plot Against AmericaIl complotto contro l’America (2004), tradotto in Italia da Vincenzo Mantovani per Einaudi, è diventato una miniserie HBO, rilasciata ora sulle nostre piattaforme. Tutto nel whatif rothiano si gioca nell’ambiguità: il disturbante, per chi legge o per chi guarda, sta in un Paese che in superficie è quello noto, incubando però nelle viscere un’orribile trasformazione.

Non per caso i cervelli della serie, Ed Burns e David Simon, già coppia vincente di The Wire, hanno ricostruito mimeticamente, con grande cura storica, la Newark anteguerra, dove vive la famiglia Roth (in tv ribattezzata Levin): era il modo più efficace per teatralizzare l’imprevisto di cui sopra, l’inquietudine, lo spiazzamento, lo spavento.

America First, si diceva: motto sinistramente attuale, ma Roth stesso, in un’intervista al New York Times, faceva notare che l’ammicco era semmai agli USA di George W. Bush. Il paragone con il Paese di Donald Trump, giunto dopo sulla scena, pare però allettante allo scrittore: anche oggi ci sono un leader demagogo (pur se non eroe di guerra), che ammira dittatori stranieri, il sorgere di una destra nazionalista e isolazionista, le false narrazioni… E tuttavia la distopia di Roth, infine, è più legata al destino dei suoi personaggi che a un gioco a chiave con scoperto intento politico.

David Simon, sempre sul NYT, estremizza il punto, precisando che la serie HBO, non verte tanto sul confronto scontro Roosevelt-Lindbergh, quanto su una famiglia di sei persone, i Levin appunto, posta in un momento politico infausto, e su come queste sei persone si comportano…

Malservito di recente al cinema – la Pastorale a singhiozzo di Ewan McGregor, la scolastica Macchia umana di Robert Benton – Roth, dopo un incontro con David, si considerava in buone mani per il serial che non fece in tempo a vedere. Non gli diamo torto.

Cast ben assortito e di belle facce – Zoe Kazan, Winona Ryder, John Turturro – impostazione di racconto solida favorita dall’apparente tradizionalismo del prototipo: per una volta un romanzone in terza persona, senza i mille specchi forniti dai deuteragonisti rothiani. La vera difficoltà? Trasmetterci il senso di minaccia del libro: mettere cioè in immagini l’inquieta visione parziale (tutt’altro che onnisciente) dei personaggi, in limine alla possibile catastrofe della storia o della Storia, a partire dal piccolo di casa Levin, che oltretutto ha gli occhi sbarrati della sua età di fronte al mondo.

Per completare dal punto di vista di Roth il Complotto, vale la pena cercare l’autobiografico I fatti (1988), dove lo scrittore affronta in un memoir gli episodi di antisemitismo accaduti a Newark nella sua infanzia.

Nella foto in alto, John Turturro, il rabbino che vota pro-Lindbergh

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