CRESCENDO #makemusicnotwar di Dror Zahavi, oggi al cinema, racconta la nascita di un’orchestra che si forma in nome della pace tra giovani palestinesi e israeliani, com’è accaduto nella realtà per la West-Eastern Divan Orchestra di Daniel Barenboim e Edward Said.
Ma siano qui appena citati Barenboim e compagnia, perché il film si fa quasi da subito i fatti suoi, scegliendo di sceneggiare come in qualsiasi comedy-drama le vite dei protagonisti, dibattendosi a lungo e invano tra animose verità e una sinfonia di cliché.
Prendi i protagonisti. Tutto troppo in parte. Dal maestro tedesco Eduard Sporck, severo ma imparziale, che sembra fottersene della politica ma ha nel cuore una ferita grande così, a Ron, violinista di Tel Aviv, bello e guascone, cui viene preferita come solista Layla, la ragazza palestinese povera e fiera, costretta tutti i giorni all’umiliazione di passare il posto di blocco.
Anzi, proprio a questi due giovani musicisti, Ron e Layla, leader delle fazioni dell’orchestra, sempre pronte a guardarsi in cagnesco se non ad azzuffarsi, spetta il compito di illustrare le difficoltà (l’impossibilità?) della concordia – simboleggiata dalle voci dei loro violini, incapaci di vibrare insieme.
Nel secondo tempo il film da Tel Aviv si sposta in terra italiana, tra le montagne del Trentino-Alto Adige, dove si prepara il concerto d’esordio dell’ensemble, e si consuma nel gruppo una difficile storia d’amore.
Il Maestro Sporck invita i musicisti belligeranti tra di loro a fare esercizi spirituali oltre che musicali e, mentre proclama l’immedicabilità delle antiche ferite, invita all’abbraccio, tirando le fila anche della sua vicenda umana: è figlio di medici nazisti.
Dalla modalità comedy-drama si passa a quella del film d’idee, serio ma retorico perché, per paura di non farsi ben comprendere, il navigato regista Zahavi non può ricorrere alla benedizione dell’ellissi.
È un film da salvare solo perché è buono o buonista? Rispondete voi dopo aver sentito la (poca) musica eseguita. Un po’ di Dvorák, l’Inverno di Vivaldi, il Bolero di Ravel che chiude la storia dopo un imprevisto ma non imprevedibile epilogo drammatico su cui non spoileriamo.
Bravo conunque nei panni del direttore Peter Simonischek, Migliore Attore European Film Award per lo scatenato Vi presento Toni Erdmann e tra i giovani si nota (prima di tutto per antipatia, poi no) Mehdi Meskar, arrivato dalla serie Skam Italia. La musica è fornita dalla Neue Filharmonie Frankfurt. Non c’è traccia di Barenboim.
A margine. Pur non essendo particolarmente ferrati sull’argomento musica classica, anzi proprio per questo, ci avviciniamo sempre con cautela a serial tv come Mozart in the jungle o La compagnia del Cigno, temendo prima o poi il pippone su quanto è bravo Mozart che, se lo ascolti bene, è una specie di Michael Jackson dei suoi tempi. Ecco, qui il pippone ci viene risparmiato. Forse per distrazione: si da per scontato che esiste un’unica musica al mondo, fatta eccezione per quella per matrimoni, cui si dedica il clarinettista palestinese, ragazzo sperso in un mondo troppo grande per lui.