È giusto che la pre-apertura di Venezia sia stata affidata ad Andrea Segre (Dolo, 1976), regista e sociologo che, con il docu Molecole, descrive la laguna del lockout, ma non solo.
Segre ritrova e rimonta i vecchi super8 del padre scienziato – Ulderico, veneziano di nascita, padovano d’adozione – e li sovrappone alle immagini della figlia, Dafni, che guarda dalla finestra le calli vuote della pandemia.
In mezzo, c’è tanto, c’è il mistero Venezia, ma senza andare troppo sul metafisico oppure sul poetico – anche quando la città si riempie di nebbia che, come nota il figlio dello scienziato, è materica e insieme spirituale.
Il regista Segre si era sentito finalmente pronto, con un progetto razionale in testa, ad avvicinarsi alla sfuggente città di Ulderico e della nonna – la Venezia che non era nemmeno certo gli piacesse da ragazzino quando dalla stazione arrivava alla Salute, la chiesa simbolo di una pestilenza.
L’intento del documentarista è quello di raccontare la città dopo la grande marea del novembre 2019.
Segre gira. Partenza sulla barca di un amico a Vignole, isola nell’isola, poi va in gondola con Elena, vogatrice provetta che campa insegnando a remare agli americani. Poi, tocca l’insicurezza palpabile, provocata dall’alluvione, che porta anche gli ultimi veneziani – ma non gli irriducibili – al desiderio di terra ferma.
Poi, c’è il Covid19. Segre rimane a Venezia, perlustra la città senza turisti – e senza il moto ondoso delle navi – in barca con Elena, sulla Giudecca e per le calli. Confronta la forza del tempo e la fragilità umana. Filma i manichini dei negozi del lusso, nascosti dietro inutili occhiali neri, e l’onda bianca del marmo, il mare, come dicono i veneziani, nella basilica di San Marco.
Segre ha la pazienza di perdersi per ritrovare qualcosa, impara a poco a poco che non si può, che non bisogna dire tutto – così si comportano i padri.
Rimasto con la famiglia in un piccolo appartamento, non capisce come funzionano le molecole studiate da Ulderico, ma, navigando tra ieri e oggi, approda a una consapevolezza che è fatta di convivenza con la precarietà – il padre aveva un soffio al cuore – e accettazione dell’inevitabile.
In fondo era già tutto detto in una vecchia fotografia, scattata in una vecchia città, in uno sguardo che unisce le generazioni.
Ha detto Segre: “Il cinema significa interrompere la vita per entrare in una storia che ha la funzione di far capire le cose, ridendo, piangendo, con tutte le sfumature necessarie”. È giusto che dal 3 settembre il suo docu Molecole vada nei cinema a fare il suo mestiere.