Un’opera prima, Mila, del regista greco Christos Nikou, ha aperto la sezione Orizzonti. Nikou, che ha lavorato con Lanthimos e Linkater – e qui infatti ricorda il primo dei due per Lobster – ha girato una sorta di preveggente film di pandemia.
Nel mondo di Nikou si diventa smemorati e l’amnesia totale si diffonde come un virus. Per curarla, i medici si affidano a un dubbio progetto di recupero, se non dei ricordi, almeno dell’identità. Mediante una nuova “crescita”, documentata dal continuo scattarsi fotografie con la Polaroid.
Al centro del film, c’è il quarantenne Aris Servetalis, oggetto e soggetto senza troppi scrupoli (compresi i suoi) a una riprogrammazione, la quale, procedendo dalla culla alla bara, diventa sempre più invadente e complicata nei suoi diktat. Soprattutto quando ci sono di mezzo una ragazza e un vecchio che langue in un letto d’ospedale.
Soltanto la musica sembra dare un po’ di autenticità, più che sollievo, a un mondo alienato, come sospeso nella sua insignificanza: e forse servono anche le mele del titolo che, secondo un fruttivendolo, fanno bene alla memoria.
Il tutto è girato in formato 4:3 come a suggerire che, al pare di Aris, abbiamo in controllo una parte limitata della storia (pure della nostra).
Metafora del Covid? No, dei rischi della tecnologia, si è detto. L’amnesia rappresenterebbe una società di persone sole, che dimenticano, perché tutto può essere affidato a metodi di archiviazione digitale – anche se nel film appare un’hi-tech molto vintage e straniante, dalla Polaroid appunto, ai registratori Revox oppure a cassette, alle auto di vecchio modello.
Meglio pensare a una chiave psicologica, forse, per questa storia di inconsapevole follia, illuminata da lampi di sarcasmo e forse non così surreale (e quindi simbolica) come sembra. Meglio pensare che una luce di comprensione, per quanto fioca, sia accesa nell’ospedale dove tutto ha inizio e fine. Applausi per Nikou che di sicuro ama un po’, oltre a Yorgos L., pure Haneke.