Di che cosa eravamo convinti fino a qualche mese fa? Di avere davanti a noi, grazie alla scienza e alla tecnologia, un futuro nel quale saremmo stati sempre più forti, più giovani, più belli. Al punto da poter sognare la (quasi) immortalità.
Poi.
Poi è esplosa la pandemia di Covid. Che ci ha fatto sbattere contro la debolezza della scienza e della medicina. E contro la nostra.
«Le macchine ci aiuteranno nella cura del corpo ma da loro non potremo mai ottenere l’immortalità»: così Michela Marzano, la settimana scorsa al FestivalFilosofia che si è tenuto a Modena, Carpi e Sassuolo.
Docente universitaria di Filosofia morale a Parigi, al Festival Michela Marzano ha affrontato il tema delle macchine incrociato con quello del corpo.
«L’idea di migliorare e potenziare l’umano non è affatto nuova» ha detto. «Anzi. E un sogno che attraversa l’umanità fin dalle origini. Un sogno che, col passare del tempo, si è poi trasformato in desiderio di immortalità».
Nel romanzo di Mary Shelley, pubblicato nel 1818, il dottor Frankenstein, appena prima di dare vita alla sua creatura mostruosa, dice: “Io credo che per sconfiggere la morte e la malattia, per dare a ogni uomo su questa terra la possibilità di vivere una vita lunga, una vita sana, per permettere alle persone che si amano di restare insieme per sempre, per tutto questo credo che valga la pena di rischiare”.
«Quello che nel capolavoro della Shelley due secoli fa era un sogno, superare i limiti del corpo e ridare vita alla materia inerte» ha spiegato Marzano «con il passare del tempo si è quasi trasformato in realtà. Grazie alla convergenza delle nanotecnologie, delle biotecnologie, delle scienze cognitive e dell’informatica, è diventato possibile per molti esseri umani riparare, cambiare, potenziare il proprio corpo. E migliorare la propria esistenza».
Al centro c’è il concetto di “human enhancement”, letteralmente potenziamento umano. «Ha cominciato a diffondersi negli anni Novanta, soprattutto negli Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni. Con human enhancement si intende la possibilità di superare i propri limiti e le proprie imperfezioni fisiche e cerebrali. Non solo trattare malattie e disabilità, ma anche aumentare le qualità e le capacità umane.
C’è l’enhacement genetico e biologico, che dovrebbe dare la possibilità di essere più sani e di vivere più a lungo; l’enhacement neuro-cognitivo, che ha lo scopo di farci diventare più intelligenti e più “smart”; l’enhancement estetico, che dovrebbe permettere di diventare belli, risolvendo il problema del body shaming; l’enhancement motorio che potrebbe renderci più forti e più veloci».
Ma… c’è un ma. «Con il tempo questo potenziamento che doveva servire da un punto di vista medico a riparare il corpo, da diritto è diventato obbligo, dovere. L’unico corpo oggi accettabile sembra essere un corpo controllato, addomesticato, padroneggiato. Fino al paradosso di trasformare le nuove tecnologie – che sono nate e si sono sviluppate allo scopo di aiutare, curare e riparare l’umano – in una nuova forma di dominio: non si tratta più solo di “dover fare” in un determinato modo, ma anche di “dover essere” altro rispetto a ciò che siamo. Il rischio è smarrirsi tra il voler essere sempre più belli, più giovani, più forti e il limite della natura umana, che è quello della morte».
Così la medicina deve progredire «nel saper dare strumenti utili ad alleviare le sofferenze, senza scadere in sterili miraggi tecnologici. La scienza e la tecnologia devono mantenersi al servizio della vita dell’uomo senza però alimentare il desiderio dell’eterna giovinezza. Perché davanti a persone che non ricevono le cure necessarie e ad altre che diventano sempre più simili alle macchine il rischio è dare vita a una società in cui ci sono individui di serie A e individui di serie B».
E poi nella corsa all’immortalità è arrivato il Covid, ciò che nessuno aveva messo in conto. «Ci siamo scontrati con una pandemia che ha riportato in luce i nostri limiti e la nostra fragilità. Dietro il sogno dell’immortalità c’era quello dell’onnipotenza medica che si è infranta di fronte alla realtà di un’epidemia non prevista».
A ricordarci che il sogno dell’immortalità è destinato a rimanere un sogno.
Foto in apertura: credit Campanini-Baracchi