Il 26 agosto di dieci anni fa una ragazzina bionda ed esile scomparve ad Avetrana, lungo la strada che la portava da casa sua a quella della cugina. Il 6 ottobre, dopo ricerche interminabili e inconcludenti, lo zio confessò il delitto, mostrandone il corpo in fondo a un pozzo. Esplodeva così il caso Sarah Scazzi, e l’Italia impazzì intorno a quel paesone di poco più di 6 mila abitanti, un presepe malevolo dove tutti sembravano nascondere qualcosa: relazioni ambigue, gelosie, vendette… Stampa e televisione travolsero Avetrana facendone uno show nazionale di orrore e miserie umane. Alla fine, per quell’omicidio finirono all’ergastolo non lo zio Michele Misseri (la sua confessione non fu ritenuta attendibile) bensì la cugina e la zia di Sarah, Sabrina e Cosima. La storia di Sarah, e il ritratto sociale e umano di un’intera comunità, rivivono nel libro-inchiesta Sarah. La ragazza di Avetrana (Fandango, 320 pagine) scritto da due reporter e scrittori, Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni. Che sono andati sul luogo del delitto, hanno parlato con i parenti, gli abitanti, i legali, hanno letto le carte delle indagini e del processo. Il loro libro racconta di Avetrana, ma anche di noi. Qui la nostra intervista a Gazzanni.
Di Sarah Scazzi hanno parlato tanti, e troppo, perché dunque scriverci un libro?
I motivi sono diversi anche fra me e Flavia. Lei ha un legame indissolubile nei confronti della provincia tarantina, voleva confrontarsi soprattutto con l’orizzonte umano di quel mondo, tanto che noi da lì partiamo nel libro, cercando di mostrarne l’aspetto umano, sociale e culturale. Invece io volevo addentrarmi nelle voragini di questo caso: mi sono via via reso conto di come non sempre ciò che appare corrisponde a ciò che è oppure è stato. Questo è emblematico nel delitto di Avetrana. Ma abbiamo voluto anche raccontare quella commistione tra media, voci di paese, indagini giudiziali che a un certo punto porta a seguire una verità viziata, quantomeno incompleta.
Come vi hanno accolto gli abitanti di Avetrana?
I primi incontri con le persone sono stati molto stranianti, all’inizio avevano terrore di incontrare altri giornalisti. Una delle parenti di Cosima e Concetta ha parlato a lungo con noi, ma quando le abbiamo chiesto se potevamo intervistarla è quasi scappata. È come se Avetrana avesse preso consapevolezza di essere stata triturata dai media solo adesso. Dieci anni dopo.
Triturata? Facevano la fila per parlare con i giornali e andare in televisione, e peraltro venivano retribuiti...
Ad Avetrana si è verificato un cortocircuito. Sabrina Misseri per prima, e i tanti abitanti del paese, hanno avuto ingenuamente la pretesa di sfruttare i media, chi per maggiore pubblicità, chi per soldi, dimenticando il fatto che alla fine quello mediatico è un tritacarne non manipolabile. Da cui non si può uscire sani e salvi.
Adesso che clima psicologico c’è, dopo tanti anni?
L’impressione è quella di un paese che vorrebbe tornare a una sorta di anonimato, e che trattiene la consapevolezza di un marchio eterno. Un po’ come accaduto a Novi Ligure, o a Cogne. Una delle prime volte che ho iniziato a raccogliere materiale, ho scritto Avetrana su Google: compare subito il delitto di Sarah, prima ancora che la pagina wikipedia del paese.
Tra loro parlano ancora di Sarah o non ci pensano più tranne quando arrivano due giornalisti “impiccioni”?
Vogliono dimenticare, ma sono anche consapevoli che a livello italiano non sarà facile cancellare la straziante ricerca e scoperta della morte di Sarah. Ad Avetrana poi ognuno ha la sua versione, c’è tuttora uno schieramento fra innocentisti e colpevolisti. Ai parenti più prossimi della famiglia Misseri, quasi tutti hanno tolto il saluto. Valentina, la sorella di Sabrina, non torna ad Avetrana se non accompagnata dal marito a causa delle minacce ricevute nel corso degli anni.
Quello che colpisce, al di là del delitto efferato è proprio il ritratto di una cittadina dove l’attenzione dei media tira fuori il peggio di tutti…
Gli abitanti si sono sicuramente prestati a questo circo, ma nell’immagine dei media le persone sono diventate dei personaggi che facevano gioco nel giallo estivo, persone trasformate in archetipi: la pettegola del paese, l’arpia vestita sempre di nero, la madre matrona, Michele Misseri condannato ma a sua volta vittima di moglie e figlia… Dai servizi televisivi ai paginoni dei giornali è diventato difficile scindere la realtà dalla rappresentazione.
Avetrana è particolare o potenzialmente siamo tutti un po’ abitanti di Avetrana?
Questo è stato a lungo argomento di discussione anche fra me e Flavia. Io penso che quello che è accaduto lì rappresenti un po’ un unicum. L’esempio chiarificatore è quello con Yara Gambirasio: non è questione di aspetto cronologico, l’omicidio di Yara avviene a poca distanza da quello di Sarah Scazzi, eppure l’immagine restituita dai media è totalmente differente. Noi leghiamo Sarah a un intero paese, mentre pensando a Yara Gambirasio non ci viene subito in mente Brembate…
Siamo sempre stati così e la televisione ci ha “stanati”, oppure è la tv, con le sue varie trasmissioni su chi l’ha visto, chi l’ha ucciso, chi l’ha menato, che ci ha fatti diventare spettatori, investigatori e giudici tutto insieme? Voi citate Vermicino come un punto di svolta in questa messa in scena del dolore…
Vermicino segna un passaggio cruciale: dalla tv del dolore alla tv dell’orrore. Mentre in quel caso la ricerca, e la speranza, erano salvare un bambino, qui l’attenzione mediatica è diventata irrecuperabile nel momento in cui si è visto che Sarah era morta. Lei è passata in secondo piano, l’attenzione è stata veicolata su tutti gli altri protagonisti del delitto. È il boom decisivo è stato con la trasmissione Chi l’ha visto.
Beh, come sempre, no?
No, c’è un momento preciso: la comunicazione alla madre Concetta, in diretta televisiva, che il corpo di Sarah era stato ritrovato e il colpevole era presumibilmente lo zio. In quell’istante c’è un frame molto eloquente: Federica Sciarelli dice a Concetta “se vuole interrompiamo le trasmissioni”. Concetta risponde “sì, interrompiamo”, ma intanto le telecamere continuano a riprendere. Quella scena è un confine tra prima e dopo.
Oltre alle indagini, emerge il racconto di un impazzimento collettivo…
Ad Avetrana è stato amplificato a dismisura il gusto e anche il sentirsi in dovere di spiare la realtà dal buco della serratura. I media hanno molta responsabilità in questo, ma l’opinione pubblica quel racconto lo ha legittimato. Tutti noi abbiamo contribuito. Quando la Sciarelli diceva a Concetta “hanno ritrovato il corpo di Sarah”, tanti di noi telespettatori hanno chiamato un amico, un parente, dicendo “metti subito su Rai3!”. E l’attenzione è diventata spasmodica soprattutto dopo che si è capito che Sarah era morta. Abbiamo voluto sapere tutto degli incroci delle famiglie, dei dettagli, anche inutili, della relazione fra Sabrina e Ivano… Ancora oggi, dopo 10 anni, non esiste un’opinione condivisa su chi fosse davvero Sarah Scazzi. E questo è assurdo.
Non era una ragazzina un po’ ingenua come sono tante?
Le tesi in campo sono del tutto contrapposte: c’è chi dice che Sarah aveva 15 anni e ne dimostrava molti di più, chi invece sostiene che sembrava ancora una bambina.
E questo che vuol dire, perché sono due tesi contrapposte?
Secondo noi, ed è un altro motivo del corto circuito che si è creato ad Avetrana, anche la lettura di Sarah risente di un giudizio dato a priori su ciò che è accaduto. Chi dice che Sarah dimostrava molto più dei suoi 15 anni è convinto della colpevolezza di Sabrina e Cosima.
E perché mai?
L’idea è che, sembrando più grande, avrebbe potuto esserci un feeling fra lei e Ivano, il “ragazzo” di Sabrina, scatenando così la gelosia e la vendetta della cugina. L’altra tesi, Sarah “bambina”, è invece sostenuta di chi crede nella deriva pedofila di Michele Misseri. Ci hanno messo del loro anche quelle trasmissioni televisive dove non c’è solo un lavoro giornalistico, ma anche autoriale: fa più comodo, come share e audience, insistere in modo morboso sul rapporto tra Sarah e Ivano che cercare di capire cosa sia davvero accaduto.
Televisione a parte, c’era anche molta rivalità fra i giornali per avere lo scoop…
Un reporter di Repubblica che aveva seguito il caso ci ha detto che a un certo punto ad Avetrana ogni giornalista aveva il suo referente. Chi faceva riferimento a Ivano, chi a Sabrina, chi al fratello di Sarah, anche oltre l’esigenza pura di raccontare la verità: in basi ai fatti che uscivano, i giornalisti chiamavano i loro referenti dicendo “guarda, questa notizia dice questo di te, tu cosa vuoi replicare, cosa possiamo dire in risposta?”. Non più lo sforzo comune di capire, ma l’esigenza di attaccare o difendere a seconda della propria convenienza, delle fazioni. E questo ha confuso enormemente le acque.
“Zio Michele” è uno dei personaggi più inquietanti del romanzo di Sarah. Non si capisce se è un ingenuo manipolato, o un astuto manipolatore. Se lui è colpevole, e in fondo voi suggerite che possa essere così, gli è riuscito un colpo che neanche il demonio: uccidere la nipote, confessare in modo da non essere creduto, far condannare figlia e moglie innocenti e restare impunito. Possibile?
Noi partiamo da un assunto: che nelle accuse a Sabrina e Cosima ci siano numerose, incredibili ombre. Difficile sostenere che si sia in presenza di condanne che vanno oltre ogni ragionevole dubbio, come recita il nostro diritto penale. Secondo le memorie difensive delle due donne, alcuni aspetti relativi al movente sessuale in capo a Michele Misseri non sono state pienamente indagate…
Michele in effetti cambia versione più volte, quando confessa il delitto di Sarah.
È un fatto che Michele Misseri, in alcune circostanze, modifichi la sua versione in circostanze poco chiare. Al lettore però la possibilità di farsi la propria opinione.
Le confessioni di Michele sembrano un po’ pilotate dalle domande che gli vengono poste, non è così?
Secondo le difese e anche leggendo i verbali, alcune domande sembrano quantomeno suggestive, nel senso che suggeriscono. Ed è indubbio che in tante circostanze Michele Misseri si adegui alle aspettative degli inquirenti. Nessuno dice che quella sentenza non debba essere rispettata, ma non significa che non possa essere criticata nel momento in cui ci sono dubbi oggettivi.
Nella ricerca della verità, come racconta il libro, anche la versione rilanciata dalla “pettegola di paese” finisce per acquistare un’importanza spropositata, orientando le indagini.
Questo perché Avetrana è stato un caso di cronaca nera corale. Tutti hanno avvertito il bisogno di parlare. Ha preso forma una sorta di mix fra mania di protagonismo e ricerca della verità che alla fine ha inciso nella ricerca di ciò che in via Deledda è accaduto.
I legali di Sabrina e Cosima hanno fatto ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo di Straburgo, quando dovrebbe essere accolto?
Il ricorso, del 2018, è stato dichiarato ammissibile, l’unica cosa che possiamo dire a oggi è che lo Stato italiano dovrà presentare una memoria tramite avvocatura. Quando poi ci sarà la discussione, non lo possiamo sapere. I giudici di Strasburgo possono dire che nulla di illecito è accaduto, o riconoscere i diritti delle difese ma senza spingersi più in là. Oppure potrebbero esserci i margini per una revisione del processo, come si augurano i legali di Sabrina e Cosima.
La sentenza sul caso Scazzi è un errore giudiziario?
Spesso tendiamo a mitizzarla, la giustizia, che è certo un valore oltre che un’istituzione, ma dimentichiamo che la magistratura è fatta da uomini e, come tali, fisiologicamente fallaci. Gli errori giudiziari esistono. E nel delitto di Sarah Scazzi una cosa è certa: i punti di domanda e i dubbi sono tanti, sono ancora lì e non hanno avuto risposta, a dieci anni di distanza. Intanto due donne continuano a stare in carcere, condannate all’ergastolo.
IL LIBRO Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, Sarah. La ragazza di Avetrana (Fandango)
Credit: “Le icone dell’Italia di oggi – Michele Misseri” by Simone Tagliaferri is licensed under CC BY 2.0