La Pandemia come Mito. Il Mito edificato dai comportamenti e dalla narrazione di essi (what else?) da parte di noi umani: è infatti “una costruzione collettiva in cui diversi saperi e svariate ignoranze hanno lavorato nell’apparente condivisione di uno scopo”.
È rassicurante per noi che Alessandro Baricco dica nell’incipit del suo nuovo saggio, Quel che stavamo cercando, concepito per una lettura sul cellulare: “ciò che un epidemiologo decide di chiamare pandemia, è una pandemia”.
A parte l’opinabile virgola tra soggetto e verbo, ci troviamo per un attimo in zona Vujadin Boskov, celebre allenatore di calcio che sosteneva con cinico pragmatismo: “Rigore è quando arbitro fischia”.
Baricco posta su La Repubblica una manciata dei 33 frammenti teorici (33 come gli anni di Cristo?) che si possono leggere invece compiutamente online su libroprivato.it
Avvertenza: si possono leggere procedendo dal primo all’ultimo, oppure così come ci va, in modalità destrutturata (zona giacca Armani), a seconda di come scrolliamo il testo sul nostro smartphone, magari la mattina, in un vagone della metro pieno di umani mascherati che si schiacciano l’uno con l’altro: in questo caso, l’arbitrarietà della lettura si potrebbe giustificare con l’arbitrarietà del contagio. Il tipo che sta compulsando vicino a noi il frammento 28 potrebbe avere pure una carica virale numericamente alta…
Spiego con più serietà il fastidio che mi dà la strategia del caso di farsi ognuno la sua sequenza nel saggio per smartphone (a proposito: che coolness, che chiccheria!). Mi ricorda certe partiture per piano del compositore tedesco Karlheinz Stockhausen, da agglomerare a piacimento dall’esecutore. Quello Stockhausen che tra l’altro – con più di una ragione – aveva definito l’attacco alle Torri Gemelle “la più grande opera d’arte mai realizzata”.
Il Baricco fai-da-te, invece, si affascina da sé con l’enormità del disastro odierno, trasferito nelle sue sentenze di alta teoria. Prima o dopo, a seconda di come leggete il testo, afferma che “dire che la Pandemia sia una figura mitica non vuol dire che non sia reale” – seppure lo affermi con una doppia negazione. Prima o dopo, sempre a seconda di come si procede nei frammenti, sostiene che “il gesto con cui grandi comunità di umani riescono a costruire un mito risulta in larga parte misterioso (…) Tuttavia la precisione – e spesso la bellezza – del prodotto finale…”. Eccoci pronti a subire un conseguente e solenne bric-à-brac di streganti terribilità ed epicità pre e post moderne a oggetto Covid-19…
Comunque siamo nei pasticci. “La resa senza condizioni al metodo scientifico ci ha resi incapaci di leggere il mito”. E cioè: fattolo “regredire a reperto magico”, e combattuto alla maniera della chiara verità balenata ai tempi dell’Illuminismo, cosa che ci rende ignoranti del nostro destino. “Con gli occhi della scienza si legge un testo privo di vocali”. Siamo insomma ben lontani dalla galassia volterriana che ha prodotto i Brn – il nome dell’infettivologo Burioni scritto qui da me senza vocali risulta in effetti incomprensibile.
Forse sono troppo spaventato dalla Pandemia per pensarci io stesso con calma o vederla celebrata in versi d’occasione e infatti ho trovato orribile un testo sull’argomento di Mariangela Gualtieri, la niña maravilla della nostra poesia radical chic. Forse sono semplicemente infastidito dal fatto che Baricco ha tenuto persino corsi di narrazione dell’attuale crisi – sicuri che il giovane Caulfield ci si sarebbe iscritto? – e che si presenti sempre più simile a un incrocio tra un filosofo hi-tech e un guru tout court.
Ma basta qui. Di certo fa sorridere amaramente la presentazione del testo che ne fa la Repubblica, dove dice che la Pandemia è una creatura mitica come l’amore “poiché similmente prende l’avvio da un contagio improvviso, inaspettato, violento”. ‘Sticazzi o Me’ cojoni?