C’è un’immagine potente, in Colpo di lama di Mauro Covacich (Trieste, 1965), il suo primo romanzo, edito nel 1995 da Neri Pozza e riedito ora da La Nave di Teseo: riguarda un personaggio, antipatico e oscuro, Achille Orante, detto Lama.
Questi è un ex galeotto e vagabondo, dedito alla raccolta compulsiva di oggetti rotti o inservibili, in nome di non ben specificate leggi naturali: ha accumulato ogni sorta di carabattole e cianfusaglie, neanche volesse produrre un’installazione d’arte, in una colata lavica che fuoriesce e si espande dall’appartamento che ha espropriato a un altro freak, l’ex operaio-ora poeta hippie Siddharta. Sono oggetti e materiali, mobili e suppellettili disintegrati dal tempo o espulsi, per inutilità, dai luoghi in cui sono diventati stranieri: teste di cervo e tv rotte, gabbie e taniche, rubinetti, ruote di bici, bottiglie e lattine, attaccapanni e tortiere, persino un busto di Dante…
Lama è un uomo sprezzante, ancor più da quando è stato ventilato il suo recupero da parte della società. Dovrebbe realizzare un bislacco progetto pilota di riciclo, in un terreno di proprietà del comune di Pordenone, la linda e conformista cittadina del Nord Est dove si svolge l’azione.
Tutt’altro che grato, Lama passa i suoi giorni sfruttando la falsa coscienza dei cosiddetti buoni, provocando i servizi sociali, citando in modo rozzo e aggressivo Darwin e Nietzsche, con un atteggiamento da irriducibile antagonista che, ispido e sdentato, si sogna padre e padrone del suo regno di erbacce e spazzatura.
Ecco. Queste inutili “cose”, che appaiono come una sorta di monito ai mortali, sono il quarto elemento di un triangolo zoppicante e aguzzo. Che si forma quando l’architetto Fabbretto, stimato assessore e runner serale, è quasi costretto a uscire dalla sua inoperosa routine borghese da Alessandra, ragazza enigmatica che lavora in un centro del Terzo Settore. Scatta il colpo di fulmine, detto volgarmente – l’unghiata allo stomaco, per Covacich – appena Fabbretto la riceve: è lei, capelli rossi, blouson nero e kefiah, a spendersi per molto ignoti motivi a favore dell’arrogante e forse violento Lama.
Siamo partiti in medias res, discorrendo di precarietà del tutto, per riconnetterci all’inizio del romanzo, su cui si posa subito come un macigno il senso di incertezza e di pericolo che pervade la vicenda.
La storia è infatti raccontata da Fabbretto – di cui significativamente non sapremo il nome di battesimo – a un questore, in una lettera che annuncia la verità su un fatto tragico connesso alla balorda impresa di cui sopra e (forse) alla sua attrazione per Alessandra.
Nonostante il titolo, Colpo di lama potrebbe essere un romanzo italiano da non confondere nel calderone dei noir: descrive ambienti e situazioni, e una pletora di personaggi, “normali” o segnati dall’alterità, con la capacità di bastarsi, di sostenere una trama essenziale, senza troppe svolte e artifici.
Pensiamo alle pagine dedicate alle visite e alle sere di dibattito tra i volontari di Vivavita, al report delle assistenti sociali al distratto assessore, ai morsi e agli abbracci del sesso disperato e occasionale, o alle corse di Fabbretto, la cui vita è chiusa in una bolla di solitudine, fatta salva la presenza del cane Barnie…
Di Fabbretto, come degli altri personaggi – ci accorgiamo alla fine del romanzo – abbiamo saputo e sappiamo troppo poco o quasi nulla, come se in questa segretezza e ignoranza ci fosse l’intenzione da parte dello scrittore di rispecchiare la vita superficiale e povera di rapporti della piccola città.
Del fattore noir, dicevamo. È Covacich stesso che si infila in un epilogo nero, cambiando passo e forzando la tensione crescente di capitolo in capitolo tra Fabbretto, “piccolo fabbro” di un destino non suo e pronto dal primo istante ad andare verso la rovina, la misteriosa ragazza, e il loro sgradevole e imprevedibile compagno di strada. Comincia comunque qui la carriera di uno scrittore in continua ricerca e ridefinizione di sé.
IL LIBRO Mauro Covacich, Colpo di lama, La Nave di Teseo
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