Quelli fra il 23 febbraio e l’8 marzo sono i giorni decisivi. Che segnano la storia degli ultimi mesi. Fra la pavidità di Governo e Regione e le pressioni degli industriali. E che ci portano fino ai nostri giorni con le proteste in piazza
Alla fine si torna sempre lì. A quell’ospedale di Alzano Lombardo dove molto ha avuto inizio.
Il Pesenti Fenaroli della cittadina lombarda è il luogo attorno al quale gira il racconto di Francesca Nava, almeno per chi scrive felice scoperta giornalistica dei giorni della pandemia, che quei giorni li ha vissuti molto intensamente. Da quell’esperienza è nato il libro Il Focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale che racconta passo dopo passo giorni drammatici fra Bergamo, Milano e Roma. Poi, con i suoi tempi, arriverà il racconto giudiziario, ma questo poco interessa perché quella è un’altra storia.
La vicenda di Alzano è la storia di un ospedale a pochi chilometri da Bergamo che si trova di fronte all’evento sanitario più drammatico dai tempi della Spagnola. Il virus è subdolo e si palesa in periferia, lontano dai grandi centri, coltiva il basso profilo. La data simbolo – è l’incipit dell’autrice – è quella del 23 febbraio 2020 “che cambierà per sempre il volto della Val Seriana”.
Ma la Val Seriana è troppo poco. Perché quel giorno cambia la storia d’Italia e ci porta dritti fino alle persone in piazza che oggi protestano contro il temibile lockdown.
Proviamo per una volta a fare la storia con i se e immaginiamo l’ospedale che chiude immediatamente dopo il primo caso. Che poi non è il primo, visto che il 21 febbraio nell’area Codogno-Bergamo-Cremona sono già 380 i casi individuati. Il Pesenti Fenaroli chiude, si decide per la zona rossa della Val Seriana, quelle del Lodigiano e Vo’ Euganeo sono già state attivate. Si cerca di proteggere Bergamo e la temibile, in termini di possibili contagi, Milano. Ma soprattutto passa immediatamente l’idea che i lockdown devono essere mirati e le zone rosse dettagliatamente individuate, che bisogna rispettare i diritti dei cittadini e salvaguardare nei limiti del possibile le attività economiche.
Il senno di poi? Un po’ sì ma anche no visto che in molti da subito avevano chiesto l’istituzione della zona rossa per la valle bergamasca. Non una richiesta da matti visto che per un paio di giorni sembra tutto pronto. I militari erano mobilitati ma l’ordine non è mai arrivato.
Nel libro di Francesca Nava abbondano le interviste ai protagonisti e si individua il periodo chiave tra il 23 febbraio e l’8 marzo (quando in realtà era già tardi perché il virus stava correndo) “per capire per quale motivo non venga sigillata subito come approvato dall’Istituto Superiore di Sanità una zona di soli 25mila abitanti, evitando magari di chiuderne una da 11 milioni prima e da 60 milioni dopo”. Parafrasando Churchill “Mai per salvaguardare il business di così pochi si fece del male a così tanti”.
Sotto accusa ci sono le pressioni degli imprenditori. Marco Bonometti è il capo degli industriali lombardi che il 28 febbraio ai microfono di Radio Rai dice che “la gente può tornare a vivere come prima” e si preoccupa del “danno di immagine”. L’autrice lo intervista e lui spiega che il forte contagio della zona è dovuto alla presenza degli allevamenti. Viene in mente il Colin Crouch di Postdemocrazia: “Mentre le forme della democrazia rimangono pienamente in vigore, la politica e i governi cedono progressivamente terreno cadendo in mano alle élite privilegiate”.
Il decreto legge n.6 stabilisce la possibile chiusura di un Comune anche con un solo caso di coronavirus. Può farlo il Governo e può farlo la Regione. Ma nessuno vuole assumersi la responsabilità e allora si passa direttamente alla zona arancione della Lombardia.
Il virus ringrazia. E quando l’autrice del libro chiede direttamente al Presidente del Consiglio conto della mancata decisione lui risponde così: «Guardi, se lei un domani avrà la responsabilità di governo, scriverà lei i decreti e assumerà lei tutte le decisioni». L’avvocato del popolo non deve dare spiegazioni a nessuno. Un Forlani qualunque non si sarebbe permesso.
La pavidità del governo, dove manca la voce del ministro Speranza da lì in poi sempre appiattito sulle posizioni del comitato tecnico-scientifico, e l’acquiescenza della Regione alle opinioni degli industriali (Bonometti: “La Regione è sempre stata d’accordo con noi nel non ritenerla utile, ma anzi dannosa”) sono gli elementi centrali di un racconto che esplora anche l’aspetto legale.
Si arriverà a una qualche forma di giustizia? Molto, molto difficile. La verità sarà solo politica e la ferita pubblica, come conclude Francesca Nava, “probabilmente rimarrà aperta per sempre”.
Il libro: Francesca Nava, Il Focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale (Laterza)