Ci abita da mesi, accompagna i nostri gesti e i nostri pensieri: è l’ansia, la chiameremo così, pensando alle mille sfumature della fatica di questo tempo, del non dormire, del mangiare troppo o troppo poco, del sentirsi spossati o “tigri in gabbia”, del vivere senza progetti, dell’essere perennemente preoccupati.
La pandemia ci costringe a convivere con una situazione di fragilità psicologica su cui anche l’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato l’allarme, parlando di pandemic fatigue e avvertendo i governi che le persone rischiano di “lasciarsi andare”.
Accomunati dalle misure di distanziamento, saturati dalle immagini e dai numeri dei tg, viviamo tutti – in modo diverso – il peso di questa realtà. «Questo aumento di una serie di stati emotivi, che la seconda ondata della pandemia sta rivelando, mostra una differenza con la prima fase. Mentre in un primo momento le emozioni prevalenti sono state la paura e la sorpresa, questo secondo momento, che arriva dopo un periodo di attesa e di speranza disillusa, ha svelato definitivamente la fragilità dell’essere umano e la precarietà della nostra esistenza. Ha tolto il velo all’illusione, creata dal progetto della civiltà moderna, che la contingenza non esiste, o comunque è governabile», commenta Pamela Pace, psicoanalista, membro della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, autrice del volume Che ansia! Riflessioni per mamme e papà che faticano a “lasciare andare” (edizioni San Paolo). Rivolto a quell’esperienza universale che è l’arrivo di un figlio, che porta gioia ma anche tante paure e domande nei vissuti di tutti i genitori, il libro dedica un ultimo, intenso capitolo all’inquietudine che stiamo sperimentando a causa del Covid-19.
Questa “seconda ondata” ha provocato una diversa reazione rispetto al primo lockdown?
«Direi che si avvicina di più all’angoscia, a un vissuto che trascina con sé sregolatezza, rabbia, cadute del tono dell’umore, disperazioni. È qualcosa di più della paura, si avvicina a quadri psicologici legati alla presa d’atto che noi non siamo padroni della nostra esistenza, perché esiste la contingenza, e questa forza non è imbrigliabile né controllabile».
Lei ha scritto, citando Freud, che l’essere umano non è mai preparato al trauma, cioè a ciò che repentinamente ci accade e ci “cade” addosso, stravolgendo la realtà.
«Quando qualcosa, oltre a essere ignoto, è anche una minaccia rispetto alla nostra salute e alla vita, è inevitabile che produca un circuito ansioso infernale. Inoltre non è così scontato, per l’essere umano contemporaneo, ammettere la propria fragilità. Ed eccoci alla contingenza, che ci convoca all’assunzione di responsabilità, uno per uno, a fare i conti con noi stessi. E su questo piano c’è più resistenza, c’è più rimozione: ci sono quelli che negano, quelli che persino considerano le restrizioni e le norme delle esagerazioni. Non dobbiamo stupircene: sono delle reazioni umane difensive. La rimozione, la difesa, l’aggressione, la fuga… ognuno a modo suo sta vivendo qualcosa di più lontano dall’ansia, siamo più travolti, stiamo facendo più fatica anche ad assumerci responsabilità che ci spronano a uscire da un modo di vivere individualistico».
Presso l’Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus, che lei ha fondato a Milano, continuate a rispondere alle richieste di aiuto delle persone e delle famiglie in difficoltà in questa emergenza. Cosa vedete?
«Paura, disorientamento, rabbia e incertezza pervadono trasversalmente i discorsi che ascolto. L’ansia e l’angoscia ritengo si originino soprattutto dall’eccezionalità della compresenza di due fattori: da una parte gli effetti preoccupanti legati al contagio e dall’altra l’incertezza e i timori sul futuro lavorativo ed economico, proprio e del tessuto sociale. Tuttavia ho recepito, in modo forte e nella particolarità unica di ogni ben dire, proprio quello che Lacan definisce il “sentimento della vita”: la capacità di ognuno, uno per uno, di accogliere e abitare in modi creativi il mondo e le relative esperienze, articolando la propria vicenda e le proprie risorse personali in un orizzonte universale. Schopenhauer ci ricorda che “Il soggetto del gran sogno della vita è in un certo senso solo la volontà di vivere, che spinge a servirsi di ogni mezzo”. Questo è ciò che sto incontrando nella mia pratica clinica, in questo momento di paura, e come effetti dell’incontro con un reale che, come scrive Merleau-Ponty, colpisce con violenza e, come “il coltello del mondo”, lascia una cicatrice profonda».
Guardando oltre, come ci cambierà questa situazione, che alcuni studiosi americani hanno definito, forse cinicamente, “il più grande esperimento sociale mondiale”?
«Mai come in questo momento sembrano attuali molte riflessioni di Michel Foucault: siamo infatti approdati a una nuova fase di biopolitica, secondo quanto il filosofo aveva ben descritto, dentro un tessuto culturale in cui scienza e politica si interfacciano più da vicino, l’una avendo una sfera d’influenza sull’altra. Inoltre il vacillamento di tutti i punti di riferimento simbolici, l’evidenza che dovremo convivere con il coronavirus e i gravi problemi economici e del mondo del lavoro, rendono attuale il monito foucaultiano che non basta conoscere se stessi, bensì è necessario modificare e riuscire a governare se stessi, soprattutto nel fare i conti con ansie, paure, incertezze e difficoltà.
Nelle nuove forme di vita che ci attendono, e nella memoria di quanto accaduto, penso sarà una possibile eredità della pandemia il monito a dare il giusto peso alla vita, il giusto posto all’altro e ai valori umani che, d’altronde, ci hanno permesso di ricevere e dare conforto e sostegno nei momenti più drammatici di questa emergenza mondiale».
Il libro. Pamela Pace, Che ansia! Riflessioni per mamme e papà che faticano a “lasciare andare” edizioni San Paolo
Foto di apertura: “symptoms and signs” by madamepsychosis is licensed under CC BY-NC-ND 2.0