La luce. A distanza di anni ricorda ancora quel neon che non gli piaceva. Così come non gli piaceva l’ufficio, il bunkerino. Come si fa a stare lì dentro? Però quando Antonino Caponnetto gli chiese di andare a lavorare con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, il quarto uomo del mitico pool di Palermo, non si tirò indietro. Anche se la telefonata di Caponnetto non era di quelle che allungavano la vita, ma anzi rischiavano di accorciarla o comunque di renderla molto più difficile. Inizia così la vicenda del meno conosciuto dei giudici del pool che in C’era una volta il pool antimafia (Zolfo editore) ripercorre gli anni d’oro e tragici di Palermo e dell’Italia.
Guarnotta racconta i protagonisti di quegli anni con Antonino Caponnetto, dimostrando una tempra che all’inizio pochi gli riconoscevano, raccoglie l’eredità di Rocco Chinnici, formalizza dal punto di vista giuridico l’esistenza del pool antimafia, un organismo che prima non esisteva, e organizza il lavoro dei magistrati sobbarcandosi anche attività operative per lasciare liberi i colleghi di concentrarsi sulle loro indagini.
E poi c’era il capo indiscusso Giovanni Falcone che stava sviluppando il suo metodo di lavoro guidato dalla parola d’ordine “follow the money” che lo ha portato a entrare nei santuari intoccabili dell’epoca, le banche.
Oggi sembra banale ma fino ad allora nessuno ci aveva mai provato a chiedere i documenti delle operazioni bancarie e ricostruire il passaggio dei soldi. Con assegni dove non erano neanche indicati dei prestanome, il senso di impunità era totale e i nomi degli uomini d’onore erano lì a disposizione.
Un lavoro pazzesco da fare tutto a mano, senza computer e solo con l’aiuto della Guardia di Finanza, una collaborazione che è un’altra innovazione dell’epoca. E poi il lavoro internazionale, il rapporto con i colleghi svizzeri e i contatti con gli americani. Come quella volta che Falcone andò negli Usa con Guarnotta e rimasero esterrefatti di fronte all’armamentario tecnologico a disposizione degli uomini dell’Fbi.
C’è il Falcone giudice e il Falcone uomo, con un senso dell’umorismo discutibile e un carattere non facile. Soprattutto all’inizio, perché quando si apriva era tutta un’altra cosa. E c’è da capirlo visto che la storia di Falcone è tragica non solo per come è finita a Capaci ma per quello che ha dovuto passare negli anni.
Vale sempre la pena di ricordarlo. Falcone, che era molto convinto delle sue capacità, vide il Csm preferire Antonino Meli quando Caponnetto terminò il suo mandato e nominare Domenico Sica alla guida dell’Alto commissariato per la lotta alla mafia. Si candidò alle elezioni del Csm e non venne eletto e alla Procura nazionale antimafia gli venne preferito Agostino Cordova. Ed era il migliore magistrato d’Italia. “Togliamo il disturbo allo Stato”, diceva la sera Falcone quando era giunta l’ora di tornare a casa. Una frase che con il senno di poi si spiega da sola.
“Tutti vorremmo sapere cosa è successo in quei 57 giorni che separano gli attentati di Capaci e via D’Amelio. Ma in pochi hanno preso in considerazione i 34 giorni che separano la sentenza di primo grado del Maxiprocesso alla nomina di Antonino Meli” scrive Guarnotta. Lo Stato certifica la bontà del lavoro del pool e pochi giorni dopo lo smantella.
Tutt’altra cosa Paolo Borsellino, che come Guarnotta amava ridere e scherzare. E chissà cosa aveva da dirgli quel sabato, il giorno prima di via D’Amelio quando passò a cercarlo. Doveva parlargli. Ma non ne ebbe il tempo.
Il libro ripercorre gli anni Ottanta con la tragica estate dell’85. L’uccisione degli uomini della squadra Mobile di Palermo Beppe Montana, Ninni Cassarà e Saverio Antiochia e il lavoro per il maxiprocesso. La situazione è tesa, Falcone e Borsellino devono scappare da Palermo e rifugiarsi all’Asinara dove, secondo la leggenda, scrivono la sentenza-ordinanza del maxiprocesso. Leggenda, appunto. Perché non ebbero il tempo di transferire con loro tutti i documenti e a Palermo toccò a Guarnotta e Di Lello portare avanti il lavoro mentre gli altri, quasi nullafacenti, friggevano in quella vacanza che lo Stato non dimenticò di fargli pagare. Nel senso che gli presentarono il conto.
Ultimo giudice istruttore d’Italia in proroga, figura prevista dal vecchio codice, Guarnotta porta a conclusione il maxi quater quando ormai il pool non c’è più. E a lui, al quale non piaceva quella luce, tocca spegnerla l’ultima volta.
Oggi il bunkerino è un museo.
Il libro. Leonardo Guarnotta, C’era una volta il pool antimafia (Zolfo editore)
Foto di apertura: Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. “19 luglio 1992 – 19 luglio 2009” by ho visto nina volare is licensed under CC BY-SA 2.0