UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Saggi. Anthony David, Nell’abisso: le menti spezzate raccontate dal neuropsichiatra

In quanti mondi può perdersi la mente fino a smarrire se stessa, in quanti labirinti della psiche può inoltrarsi fino a non trovare più una via d’uscita? E le etichette che psichiatri e neurobiologi mettono sui disagi dell’anima, depressione bipolare, schizofrenia, sindrome di riconversione, fino a che punto hanno un senso che vada oltre quello di un catalogo delle “figurine mentali”?

Domande senza risposte semplici, per fortuna, che il neuropsichiatra inglese Anthony David (dirige l’Institute of Mental Health alla University College di Londra) pone nel saggio Nell’abisso, storie di menti spezzate, pubblicato da ilSaggiatore. David racconta i casi che ha curato, a volte risolto (anche se non c’è mai “la Soluzione” ), spesso osservato impotente mentre il destino si portava via quelle esistenze segnate da presagi, malefici, complotti inesistenti. Ma poi, inesistenti per chi? Non certo per chi ne soffre, solo per chi, dall’altra parte della realtà, ne sancisce l’apparente inconsistenza.

Sono sette storie, terribili e affascinanti, dove l’incantesimo che colpisce la ragione è la conseguenza di un danno cerebrale, o di un trauma psichico, di una depressione latente poi esplosa, o forse di un virus, ipotizzato e mai trovato. Alla fine, l’eziologia del male importa poco, finisce nell’oscuro sgabuzzino delle ipotesi, ciò che conta è l’incredibile dispiegarsi di sintomi e manifestazioni in cui queste persone, giovani donne, padri di famiglia, ragazzoni ribelli, indecifrabili fanciulle, affermano o negano se stesse.

Emma, la storia più incredibile, sembra la versione dark della Bella addormentata nel bosco. Autoimprigionata (forse in maniera intenzionale? Chissà) in un’inspiegabile immobilità fino a sfiorare  lo stato vegetativo, si risveglia solo con l’elettroshock. Scettica e quasi noncurante  tutte le volte che torna in vita, dopo sei cicli di “stimolazione magnetica transcranica”… ma no, non sveliamo niente, è vero che queste storie non sono gialli, ma il finale getta, in tutti gli episodi, una luce abbagliante sull’incapacità di capire, spiegare, risolvere.

Patrick, dopo un incidente stradale e una lesione al cervello, si riprende, torna a casa dalla moglie e alla sua vita di sempre. Però è convinto che la moglie non sia veramente lei, bensì una sosia. Che il mondo che lo circonda sia un’impostura. E lui stesso, a volte, pensa di essere morto. Ovviamente per queste due condizioni ci sono, puntuali, i nomi scientifici: sindrome di Capgras (la convinzione che familiari e parenti siano malevoli cloni), sindrome di Cotard (considerarsi morti). Ma poi? Come strappare Patrick dal suo inferno privato e riportarlo, davvero, nel mondo dei vivi?

Caitlìn non mangia. Neppure digiuna. Si nutre a malapena, mostrando ascetico disinteresse per i cibi. Non ha ingaggiato nessuna battaglia finale con gli alimenti, piuttosto disprezza il concetto di “piacere”, che sia il cibo, il sesso, la vita in generale. È depressa? Macché. Infelice? No. L’idea di felicità però le sembra frivola, vacua, puerile. Di fronte a lei, che in realtà non avrebbe nemmeno bisogno di terapia, il neuropsichiatra confessa di sentirsi spiazzato, inadeguato, anche un po’ ottuso.

Le altre storie scopritele da soli. Il saggio apre una serie di dilemmi, forse non tutti nemmeno previsti da chi lo ha scritto. Cosa conduce alla perdita di presa sulla realtà? La genetica, l’indole, le esperienze vissute, le forze sociali? Il suicidio è un atto premeditato e, in tal caso, la premeditazione dura mesi, giorni, o un attimo fuggente, e sarebbe bastato un ostacolo in quel momento funesto per cambiarne l’esito finale? E parlare di neurotrasmettittori come dopamina o serotonina per decifrare gli up and down della depressione maniacale non rischia di duplicare, in epoca moderna, quelle pompose ingenuità (come adesso ci appaiono) degli antichi che  spiegavano ogni sbandamento psicofisico con il disequilibrio dei quattro umori, bile gialla, bile nera, flegma e sangue?

Siamo un groviglio di fili e colori da cui è impossibile, forse anche insensato, dipanare gli uni dagli altri. Le menti spezzate di cui racconta David sono casi estremi, poveri eroi con superpoteri che si sono ritorti contro se stessi. Ma siamo anche noi, nell’infinita capacità del nostro cervello e della nostra mente (una cosa sola?) di moltiplicare gli universi in cui vivere e morire.

IL LIBRO Anthony David, Nell’abisso, storie di menti spezzate, ilSaggiatore

 

Credit: “symptoms and signs” by madamepsychosis is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

 

I social: