Roberto Mancini santo subito, verrebbe voglia di dire. Tre anni fa fummo umiliati dalla Svezia che ci sbarrò le porte del Mondiale di Russia 2018. Oggi sembra che il nostro calcio sia tornato tra i grandi d’Europa, visto che a ottobre 2021 ospiteremo la fase finale della Nations League in cui affronteremo il meglio del continente: Francia, Spagna e Belgio.
La Nazionale azzurra ha infilato un record di 23 partite senza sconfitte, ma soprattutto gioca un calcio che non s’era mai visto: siamo sempre noi a fare la partita, abbiamo un possesso palla da Barcellona di Guardiola, siamo una squadra anche quando mancano giocatori importanti.
Quasi un miracolo reso possibile dal lavoro in profondità di Roberto Mancini e del suo staff. Quando assunse il ruolo di CT raccolse il testimone da Giampiero Ventura, trovando un ambiente depresso e una nazionale da ricostruire dalle fondamenta per restituirle entusiasmo e spirito di appartenenza, ma anche l’amore del pubblico. In fondo non era difficile fare meglio, perché si partiva da un cumulo di macerie.
Ma Roberto Mancini è andato oltre le più rosee aspettative, costruendo in tre anni un’identità da squadra di club, un gruppo forte e coeso in cui ognuno dà il 100% di quello che ha.
Per farlo ha dovuto lavorare in profondità e guadagnare la fiducia dei giocatori, senza la quale è impossibile costruire qualcosa di solido e duraturo. La sua mossa vincente è stata affidarsi ai giovani, anche a quelli che non giocavano nella loro squadra di club. Un esempio su tutti: ha convocato Zaniolo quando non aveva ancora giocato un minuto nella Roma. I giovani portano entusiasmo, forza, dedizione, prospettive. In cambio Mancini ha ricevuto un’adesione totale e convinta al suo progetto.
Così si spiegano le vittorie a ripetizione, il gioco brillante e propositivo, la voglia di esserci per fare gruppo, a costo di andare in panchina o in tribuna. Una squadra di ragazzi in gamba che stanno bene insieme e si divertono a giocare e ad aiutarsi.
Così Mancini ha superato le resistenze dei club, che sono notoriamente piuttosto restii a dare i propri giocatori alle nazionali, soprattutto ai tempi del Covid. Perché ha restituito loro giocatori motivatissimi e rivalutati dalle prestazioni in azzurro.
Accanto a Mancini è giusto non dimenticare la Federcalcio e il suo presidente Gabriele Gravina, che ha creduto sin dal primo momento nel nuovo CT e gli ha messo a disposizione uomini e strutture per farlo lavorare al meglio. Ora però il problema sarà trattenerlo, perché inevitabilmente Mancini potrebbe diventare l’obiettivo di grandi club europei, in grado di offrirgli un ingaggio nettamente superiore a quello della FIGC.
Continuare con lui sarebbe una garanzia perché in rapida successione siamo attesi dagli Europei, dalla Nations League, dalle qualificazioni ai Mondiali di Qatar 2022. Tutti appuntamenti nei quali gli azzurri possono puntare a essere protagonisti.
Ci sarà tempo e modo per discuterne, ma è chiaro che molto dipenderà dalla volontà di Mancini di rimanere al timone della Nazionale, magari anche al di là della possibilità di guadagnare di più.
Perché ora viene il bello. Giusto condividere l’entusiasmo per questa squadra, per le sue vittorie e per il modo in cui le ottiene. Ma in fondo non abbiamo ancora vinto nulla e d’ora in poi l’asticella si alzerà di parecchio.
Dovremo dimostrare di essere davvero cresciuti quando affronteremo avversari di primo piano, squadre che ci sono probabilmente superiori sul piano tecnico e su quello dell’esperienza: la Francia campione del Mondo in carica, la Spagna che ha appena umiliato la Germania (ma guai a dare i tedeschi per morti), il Belgio, l’Inghilterra, il Brasile, l’Argentina.
Contro queste nazionali si capirà davvero di che pasta siamo fatti.
Siamo certi che se i nostri giovani continueranno a crescere, a maturare e a migliorare, possiamo affrontare chiunque a viso aperto. Rimanendo consci dei nostri limiti, ad esempio la mancanza di un grande bomber che concretizzi il grande lavoro di un centrocampo di eccellente qualità.
L’importante è rimanere umili e continuare a lavorare sodo per migliorare gli aspetti ancora perfettibili.
Con Roberto Mancini e i suoi ragazzi possiamo tornare a sognare in grande. E magari alzare un trofeo che ci manca dal 2006, da quell’indimenticabile notte di Berlino.
- Daniele Garbo ha appena pubblicato il libro Un inviato poco speciale (Edizioni 2000diciassette)