Che una pubblicitaria in carriera molli tutto nella Milano che vive per il lavoro e si trasferisca in Romania per salvare i cani randagi può sembrare la trama di un film di Natale, di quelli dove – prima del lieto fine – il protagonista ne affronta di ogni. Invece è la scelta vera che Sara Turetta, 47 anni, ha fatto 18 anni fa quando è (metaforicamente) salita su un ottovolante ed è andata incontro a sconfitte e successi, momenti neri e periodi felici, collaboratori infedeli e compagni di lavoro straordinari. Un’esperienza unica che ha visto nascere l’associazione Save the dogs and other animals e una clinica veterinaria all’avanguardia a Cernavoda, cittadina nel sud della Romania. Oggi quel giro di giostra Sara lo racconta nel libro I cani, la mia vita (edizioni Sonda).
Quante volte ti hanno dato della matta o dell’esaltata?
«Meno di quanto ci si potrebbe aspettare. Ho avuto molti incoraggiamenti perché mi hanno visto determinata».
Hai mai pensato che stavi cercando di vuotare il mare con un cucchiaino?
«L’ho pensato e a volte lo penso anche adesso. Se guardo ai numeri, a quanti animali riusciamo a salvare e a quanti diamo in adozione, probabilmente è così. Poi però c’è il valore di quello che facciamo. Che è esempio per le istituzioni, è speranza, è incoraggiamento per altre realtà, è sviluppo culturale ed etico per la comunità rumena in cui operiamo. Tutto questo non è quantificabile. Ed è altrettanto importante».
Che Romania hai trovato 18 anni fa? E ora com’è?
«La Romania di oggi è divisa in due. C’è il contesto metropolitano che, dopo l’ingresso del Paese nell’Unione europea nel 2007, ha visto una trasformazione importante grazie agli investimenti stranieri, a un’imprenditoria che è esplosa, alla richiesta di molte nuove figure professionali qualificate che ha permesso ai giovani di trovare lavori di qualità. E c’è una seconda Romania, quella rurale, dove siamo noi, dove non è cambiato nulla, anzi. La gente se ne è andata, il tessuto economico è morto, chi vuole fare qualcosa non trova forza lavoro da reclutare».
Nel libro racconti quanto difficile sia stato trovare collaboratori di cui poterti fidare.
«Rispetto al passato ora va meglio, ma solo per quanto riguarda la dirigenza dell’associazione. Con me lavorano tre persone rumene da più di dieci anni e il nostro rapporto di fiducia è fondamentale per far sì che gli altri seguano una corretta gestione del lavoro. Abbiamo inserito anche alcune figure straniere, quattro in posizioni manageriali: l’unico modo per avere il pieno controllo della situazione e un alto standard di lavoro».
Quanto è stato importante aver fondato l’associazione Save the dogs?
«E’ stato fondamentale. Fare quello che facciamo richiede un impegno grande. Senza un’associazione sarebbero stati impossibili le partnership internazionali, gli aiuti delle fondazioni straniere…».
… e la creazione della clinica veterinaria a Cernovoda
«Sì. La struttura è bellissima. Anche se ci sono difficoltà ovviamente, a partire dal reperimento del personale e dei veterinari. Siamo stati un mese e mezzo senza medici, ora finalmente ne abbiamo tre. Tutte le attività vanno avanti, anche se un po’ a rilento per il Covid. La clinica è un baluardo in un deserto e salva tante vite. Siamo sommersi di richieste, ci chiamano da tutta la regione. Lo scorso anno abbiamo assistito 1.800 animali, sterilizzato gratuitamente 1.300, fatto 250 interventi di pronto soccorso su cani e gatti».
La popolazione locale è consapevole dell’importanza del vostro lavoro?
«Pochissimo. Solo le donne, quelle che a loro volta sono impegnate a salvare randagi e animali in difficoltà. E che hanno trovato in noi un aiuto. Ma sono una minoranza. Ci siamo aperti alla comunità, abbiamo ospitato ragazzi delle scuole e anche bambini disabili e speriamo di aver gettato i semi di un raccolto che deve ancora venire. Ma dobbiamo fare i conti con un degrado sociale enorme, dove la convinzione è che se siamo lì è per un qualche interesse nascosto».
Ti occupi di cani là dove ci sono bambini che soffrono. Te l’hanno detto vero?
«Tantissime volte. Sì, ci occupiamo di animali. Ma siamo impegnati anche a rendere la società più empatica, più compassionevole, a insegnare ai bambini il rispetto che li farà diventare persone migliori. I beneficiari diretti del nostro lavoro sono gli animali, il beneficiario indiretto è la società tutta. Noi siamo l’altra faccia della medaglia delle associazioni umanitarie, di quelle ambientaliste, e stiamo lavorando per costruire un mondo migliore concentrandoci sugli animali, ma con effetti benefici su tutti».
Save the dogs lavora anche in Italia.
«Dallo scorso anno. Ce lo hanno chiesto i nostri donatori. A Castevolturno, nel casertano, abbiamo fatto 350 sterilizzazioni gratuite, un centinaio di microchip e iscrizioni all’anagrafe canina. Vogliamo prevenire il randagismo, in Campania ci sono 20.000 cani chiusi nei canili. Ora stiamo lavorando a un secondo progetto e presto partiremo in un’altra regione del Sud. Vogliamo dare supporto a tante piccole associazioni che hanno un bel potenziale ma poco aiuto».
Il tuo libro ha avuto un grande riscontro, a partire dall’articolo che la scrittrice Susanna Tamaro ti ha dedicato sul Corriere della Sera definendo il tuo impegno “una vocazione”. Tutta questa attenzione dimostra che sta crescendo la sensibilità nei confronti degli animali?
«Sì, la sensibilità sta cambiando in modo importante. Di animali ce ne sono sempre di più nelle nostre case e non c’è come la condivisione per arrivare a capirne la meraviglia, il valore, la complessità. Il mio libro, però, non è animalista. Se sta raggiungendo una platea più ampia è perché fa emergere una sensibilità inclusiva. Parla di infanzia, di anziani, di persone, di umanità. Credo che questo abbia colpito anche chi ha guardato sempre con un certo sospetto chi si occupa dei diritti degli animali».
Tu hai pagato dei prezzi per la tua scelta. E’ stato difficile raccontare i momenti di crisi che hai dovuto affrontare?
«Ho dovuto riaprire cassetti dove avevo sepolto le cose negative. A partire da un esaurimento nervoso che mi ha fatto stare tanto male. Ho ritrovato immagini che avevo voluto dimenticare, perché non dormi più se non le allontani da te. Io non credo agli eroi, credo nelle persone con le loro fragilità e senza esibizionismi. Il mio racconto vuole dare strumenti e spunti di riflessione a chi rischia facendo quello che faccio io. E’ una condivisione che cerca di far sì che altri non facciano gli errori che ho fatto io».
Sara, chi è Amelie?
«E’ la mia cagnolina, un antidoto alla fatica quotidiana, che qui a Milano, dove sto sviluppando i progetti per l’Italia, è diversa ma c’è. Amelie è una terapia di gioia, di buon umore, di allegria, è un regalo che mi sono fatta dopo 17 anni durante i quali, per il tipo di vita che facevo, non ho potuto avere un cane. Amelie è una piccola ambasciatrice di tutti quei cani a cui è stata tolta la dignità. Che ancora vivono alla catena, in Romania come in Italia. Anche lei, cucciolo di poco più di mezzo chilo, era legata a una catena che pesava di più, in un misero cortile di una povera famiglia rom. La campagna di Natale di Save the dogs chiede di aiutarci donando cucce per quei cani costretti alla catena e all’aperto. Noi continueremo a batterci perché quelle catene vengano un giorno spezzate».
Foto di apertura: Sara Turetta in Romania nel 2003. Credit: Francesco Cito
Il libro: Sara Turetta I cani, la mia vita (edizioni Sonda)