Di John Le Carré non restano le immagini di un sinistro fulminante, una rovesciata, un’apertura di gioco, come accaduto per altri famosi de cuius di quest’ultima parte dell’anno.
Neanche il viso di John Le Carré è tra quelli iconici che ti guardano dalle pareti di casa o da un muro stradale. Eppure se siamo convinti che James Bond è un gran cazzaro da circo, che i buoni nello spionaggio non esistono, che gli inglesi di MI5 and 6 sono più infidi dei loro colleghi della Cia, che la condizione umana della spia è di estrema miserabilità, che l’intera partita dell’intelligence è un grande inganno a danno dei popoli, lo dobbiamo a lui, Le Carré, autore leggibile a vari livelli, da quello operativo a quello storico.
La storia stessa del volto di Le Carré è particolare, perché quel volto, intenso e stereotipato al tempo stesso, ha percorso per molte mattine della sua vita una Londra grigia e occupata dalla sua guerra contro le spie rosse, andandosi a collocare nella scrivania accanto a quella dei vari funzionari del servizio.
Le Carré fu come prima cosa vittima di quel gioco di spie. Quando era agente segreto nell’MI6 la sua copertura saltò a causa della più celebre delle spie inglesi, Kim Philby, comunista ai vertici dell’intelligence britannica, doppiogiochista, traditore per gli occidentali, eroe per i sovietici che lo premiarono con l’Ordine di Lenin, l’Ordine della Guerra patriottica di prima classe, l’Ordine per l’amicizia tra i popoli, l’Ordine della bandiera Rossa. Eppure su Kim Philby, spia shakespeariana della guerra fredda, si sono esercitate altre due penne illustri, Graham Greene, Il Fattore Umano, e Federick Forsyth, Quarto Protocollo, ma è Le Carré a uscire dallo stereotipo della singola spia in grado di mettere in ginocchio un intero servizio segreto. Le Carré nella sua trilogia di Karla, in cui Karla è il capo del Kgb, La Talpa, L’Onorevole scolaro e Tutti gli uomini di Smiley, che affrontano il tema del dopo Philby, la ricostruzione di un servizio segreto azzerato dalla presenza di spie ai suoi vertici e quindi tutto da rifare, racconta minuziosamente i fallimenti umani che determinano l’esistenza di un servizio segreto.
Le Carré, mostrando funzionari alla ricerca di una sistemazione per la pensione, segretarie in grado di pescare tra migliaia di nomi a memoria ma ai margini dell’organizzazione, agenti operativi con il fiato sul collo del nemico che finiscono per fare un errore, dirigenti collusi con il potere politico, operazioni illegali che falliscono sacrificando agenti, Le Carré descrive un mondo di poveri disgraziati, di funzionari e agenti, travet dello spionaggio che tornano a casa a cena, antieroi non per scelta ma per manifesta incapacità. Una realtà squallida, fatta di attese, di preparazioni pluriannuali per operazioni che si svolgeranno in pochi secondi determinando non soltanto la riuscita dell’operazione ma il futuro di chi la compie, spesso agenti dello stesso servizio sacrificati dai propri complici sul campo, in nome di un mai chiarito interesse superiore.
Il personaggio tipo di Le Carré è un essere umano che matura coscienza di questo stato di cose e cerca di navigarci all’interno. Spesso muore alla fine il protagonista di Le Carré, perché ha fatto uno sbaglio fondamentale: si è fidato di un amico, della natura umana, di un amante. La fiducia nel mondo di Le Carré è la merce proibita, c’è un’unica possibile fiducia che manda avanti tutto, quella sempre più labile per cui il sistema occidentale e i suoi legami indeboliti tra uomini e donne sono migliori degli altri sistemi possibili, il comunismo sovietico prima e il modello di società islamica radicale poi, che alla fine due o tre valori di base legano l’occidente contro i suoi detrattori culturali.
Ma è poca cosa, sono pochi i personaggi di Le Carré che alla fine si salvano, così come va il mondo che un giorno assiste a una strage per le strade di Parigi e un altro giorno segue la cattura dei presunti terroristi senza avere nessuna prova che quelli arrestati siano davvero le persone coinvolte, semplicemente fidandosi del valore “occidente” insito nei servizi d’intelligence.
Quando il Patto di Varsavia crolla sul finire degli anni 80 la scrittura di Le Carré ha già trattato tutto il trattabile sull’idea di nemico dell’occidente. Così, mentre gli altri autori di spionaggio si affannano alla ricerca di trame già sviscerate nei romanzi dell’ex spia al servizio di sua maestà, Le Carré lavora in tarda età sulla scrittura, riuscendo a migliorare e a uscire dalla prigione di scrittore di genere. Yssa il buono, Il Giardiniere Tenace, Il Nostro Traditore Tipo, Amici Assoluti, sono parte di questa seconda produzione di Le Carré e andrebbero riletti con più attenzione che alla loro uscita. Perché dopo averci svelato le miserie delle spie con descrizioni dell’ambiente umano degne di trattati di sociologia, Le Carré ci narra ambienti molto più interessanti e poco battuti come quello dei colletti bianchi del terrorismo di stampo religioso. Ci spiega come sia entrata nella City, nel cuore del sistema su cui si basa il valore “occidente”, per compiere operazioni a fianco degli odiati nemici capitalisti, una generazione di radicali islamici che non sa niente di campi profughi e assassini di massa di bambini, di bombe che devastano montagne e civili. Una generazione che gioca al terrorismo come al potere vero e proprio del ventunesimo secolo. Perché alla fine ciò che ci svela Le Carré, ed è il probabile motivo per cui alla fine non ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura, è che il potere in quanto tale è terrorismo, i suoi agenti al di là delle loro intenzioni non perseguono il bene, e il potere, definitivamente, è terrorismo in quanto tale.
Sì, il più pessimista tra gli scrittori del ventesimo secolo sulla natura umana, forse il più grande tessitore di trame dove l’individuo incontra la storia, il più grande creatore di dialoghi dallo stile logico ed esistenziale al tempo stesso, non poteva ricevere il premio Nobel perché nei suoi libri non c’è speranza, non c’è salvezza. Al massimo, sembra dirci, possiamo fare con coscienza quel che riteniamo giusto fare, ma senza raccontarci bugie sopra, indicando uno scopo diverso dal nostro interesse personale.