Il centro del nuovo romanzo di Giovanni Montanaro (Venezia, 1983) è una libreria veneziana – fittizia ma più che plausibile –, la Moby Dick di campo San Giacomo, nel sestiere di Santa Crose, dove potrebbe nascere un affetto tra Vittorio, quarantenne libraio di origini cadorine, e la studentessa Sofia, che sbarca il lunario nel vicino bar del cinese Chung.
È una storia quasi comune in un posto non comune, poiché si svolge in una città trasformatasi in una sorta di Disneyland di acqua, marmo e souvenir, il regno dei b&b che sostituiscono gli appartamenti degli abitanti – i residenti secondo i numeri a San Bortolo, davanti alla Farmacia Morelli, sono calati a 53.000 – come nota il terzo protagonista di Il libraio di Venezia, una vecchia signora, Rosalba, costretta a guardare la vita dalla finestra. Venezia per gli anziani è un’ininterrotta barriera architettonica.
Ma la storia diventa meno comune ancora perché è attraversata da una notte speciale, quella del 12 novembre 2019, quella della grande marea, dei 187 centimetri d’acqua cattiva e del vento impazzito, che potrebbero mettere Venezia in ginocchio.
Montanaro è molto bravo a portarci al centro esatto della tempesta, a farcela vivere minuto per minuto, nella nostra calma irreale di lettori che, insieme a lui e ai suoi personaggi, possiamo misurare prima il nervosismo, poi la paura e infine lo sgomento per l’entità del disastro.
Vivere quella notte è vivere il dramma di tutti e di Vittorio, con i suoi libri persi, rovinati dall’acqua, sparsi per il campiello, fare la conta con lui di cosa (o di chi?) si è salvato sugli scaffali, rivendicare l’importanza di ogni volume, anche il più umile, messo in pericolo, e non occuparsi solo dei preziosi esemplari danneggiati alla Querini Stampalia o alla Biblioteca Marciana.
Sono tutti libri-vita, libri-storia, libri-amore, cose reali e non simboli, quelli con cui Vittorio cercava fino al giorno prima di conquistare la fiducia di un lettore, o il cuore di Sofia, confidando nel potere dei versi di Nazim Hikmet o nell’incipit di un romanzo di José Saramago, salvatosi perché per caso fuori posto dall’ecatombe che ha colpito la lettera S.
Ma godetevi voi la storia, senza spoiler, il dramma e insieme la commedia, perché Montanaro mescola i due generi con abilità naturale, e ha la capacità di scrivere pagine luminose anche a ridosso di un’alluvione, trovando nella precisione con cui descrive la città e nel garbo con cui raccoglie un libro danneggiato o si accosta a un personaggio, la sua cifra, e una leggerezza di solito aliena agli scrittori che si aggirano nella città delle gondole funebri.
Così, a un certo punto, possiamo pure dimenticare un po’ Venezia, e seguire solo i passi che portano per le calli Vittorio e Sofia in una passeggiata timida e vera, da superstiti.
Il romanzo ha un bonus. Una mappa delle librerie di Venezia, elencate nell’appendice e raccontate dai veri librai, partendo dalla A di Acqua alta, quella con caterve di libri usati, la porta sul canale e i gatti prepotenti…
C’è solo da sperare che tutte le librerie sopravvivano all’altro disastro, quello pandemico, di cui il racconto di questa alluvione è una sorta di presagio.
Se bisogna trovare un messaggio augurale nel romanzo di Montanaro, osservatore privilegiato di una città che ama (e sicuro conoscitore della lettera F nei Sillabari di Goffredo Parise) è che saranno la solidarietà e la cultura e non il Mose a salvare la Serenissima dai rischi del futuro, compreso quello di vedere ridotta una storia secolare a una serie di meme per turisti. Si può fare, a costo di asciugare, come Vittorio, i libri – non importa se sono di Werfel o di Franzen – uno per uno con il phon.
IL LIBRO Giovanni Montanaro, Il libraio di Venezia, Feltrinelli. Sugli altri romanzi e una breve intervista, qui
Credit: “Libreria Acqua Alta, Venice” by Dimitris Graffin is licensed under CC BY 2.0