UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Il racconto. Cent’anni fa, a Capodanno, tutti aspettavano Good Times

Sulla Sesta Avenue, tra la 43esima e la 44esima West, c’è un grande palazzo di uffici che si chiama The Hippodrome Building. Un nome curioso per un anonimo grattacielo, uno dei tanti di Midtown Manhattan. Non fatevi ingannare dal nome: dove adesso c’è quell’edificio non c’era un ippodromo, ma il più grande teatro del mondo.

All’inizio del 1903, l’ingegnere Frederic William Thompson e l’impresario teatrale e circense Elmer “Skip” Dundy, dopo aver creato il grande parco divertimenti di Coney Island, chiamato Luna park – una delle prime antonomasie del Novecento – convincono l’imprenditore Harry S. Black, l’uomo che all’inizio del secolo ha costruito tanti dei grattacieli di New York, a realizzare quel loro incredibile progetto: una sala da 5.300 posti a sedere – il Metropolitan ne conta solo tremila – e un palco di cento per duecento piedi, capace di accogliere contemporaneamente fino a mille artisti e un circo con cavalli e elefanti. Il teatro ha anche un serbatoio d’acqua in vetro da ottomila galloni che può essere sollevato fino al palco con un sistema di pistoni idraulici, per spettacoli di nuoto e immersioni. Nel 1909 il teatro passa ai fratelli Shubert – i più grandi impresari teatrali dei primi decenni del Novecento tra vaudeville e burlesque – ma sarà qualche anno dopo, quando la proprietà passa a Charles Dillingham, che l’Hippodrome diventerà così famoso.

È curiosa la storia di Dillingham: per qualche tempo è il critico teatrale del New York Post, ma nel 1902 decide che scrivere sugli spettacoli non gli basta più. Sarà lui nel 1914 il produttore di Watch Your Step, il primo musical di Irving Berlin, che segna anche il debutto a Broadway di Vernon e Irene Castle. Mentre l’anno successivo ingaggia Anna Pavlova, la grande ballerina russa che ha lavorato con Nižinskij ed è stata la danzatrice più importante e famosa dell’inizio del secolo; e che noi rischiamo di ricordare solo perché le è stata dedicata una torta a base di meringa.

Melina ha scoperto la neve quando è arrivata a Ellis Island. Sapeva cos’era, aveva visto le colline imbiancate intorno a Rodi, come se qualcuno ci avesse sparso sopra della farina, ma non l’aveva mai toccata. Il suo primo ricordo dell’America è il freddo della neve sulle sue dita. Le manca il mare. Una volta ha accompagnato i signori a Long Island, ma quello è l’oceano, non è il suo mare. Però non poteva più stare là. I suoi genitori sono morti con la spagnola. Tempi cattivi. I suoi zii sono tutti negli Stati Uniti: anche il suo destino deve essere in quella terra lontana, al di là dell’oceano.

Il 31 dicembre 1920 all’Hippodrome va in scena Good Times, il sesto dei grandi spettacoli che Dillingham produce in quel teatro. Il pubblico quella sera fa la fila davanti alla facciata in stile moresco in mattoni rossi e terracotta, osservando i globi coperti di luci elettriche che sormontano le due grandi torri angolari.

Good Times ha debuttato il 9 agosto 1920. Si tratta di quello che in inglese si chiama extravaganza, storpiando un po’ la parola italiana. In un extravaganza ci sono elementi del vaudeville, del circo, del burlesque, del music hall: è quello che in Italia sarà la rivista, ma senza la grandezza e l’esagerazione dei teatri di Broadway. Quegli spettacoli devono stupire il pubblico, dall’inizio alla fine.

Il libretto è dello scozzese Robert Hubber Thorne Burnside, che dal 1908 al 1923 è il direttore artistico dell’Hippodrome. Robert è praticamente nato sul palcoscenico, il padre è un impresario e la madre è un’attrice, e lui debutta da bambino interpretando un cagnolino in The Bohemian Girl, ma capisce presto che il suo destino non è quello di stare sul palco. Scrive libretti e commedie, compone canzoni, produce spettacoli, mette in scena centinaia di musical a Brodway, in quella che diventerà la sua città. Per Good Times Burnside chiede la collaborazione di Raymond Hubbel per scrivere le canzoni.

Raymond è nato nel Midwest, suona il piano, a Chicago ha diretto una sua orchestra da ballo, ma poi comincia a scrivere a canzoni, e naturalmente si trasferisce a New York, perché è in quella città che si fa la musica. Nel 1915 diventa il direttore musicale dell’Hippodrome, al posto di Manuel Klein.

Questa è una parte della storia che merita di essere raccontata. Jacob, uno dei fratelli Shubert, ordina a Klein di mandare dei membri dell’orchestra dell’Hippodrome al Winter Garden Theatre, dove stanno producendo un altro spettacolo. Klein si rifiuta: ha bisogno di quei musicisti per l’Hippodrome. Poi offre le sue dimissioni, che Shubert accetta. Quello però che i fratelli non si aspettano è la reazione dell’intera compagnia, che si schiera dalla parte di Klein. Questo porterà i Shubert a lasciare l’Hippodrome, le cui quote saranno rilevate da Dillingham. Comunque Hubbel entra in sintonia con l’orchestra e compone moltissime canzoni. La più famosa, l’unica che sia diventata uno standard, è Poor Butterfly del 1916, scritta per lo spettacolo dell’Hippodrome The Big Snow. Per scrivere questa canzone Raymond si ispira alla Madama Butterfly di Giacomo Puccini, tanto che contiene una breve citazione musicale dal duetto del secondo atto Tutti i fior?: vivida testimonianza della notorietà del compositore italiano negli Stati Uniti, dove nei primi anni del Novecento è una specie di popstar.

Bruno è abituato alla neve. A Mezzaselva, lassù sull’altopiano, arriva ogni anno. Gli piace la neve perché protegge la terra. E Bruno è un contadino, come suo padre, come suo nonno, come sono sempre stati quelli sua famiglia e per questo lui ha bisogno che la terra venga protetta. Non gli è piaciuta la neve nelle trincee, ma lui non è soldato, è un contadino. Tempi cattivi. E poi quella guerra ha ferito la sua terra, il fronte passava proprio per il suo paese: la sua casa era dalla parte degli austriaci, mentre il campo in quello italiano. E lui era lontano, sull’Adamello. Ha deciso di andare in America quando era ancora in trincea, per cercare un mondo dove non ci sia più la guerra.

Per raccontare Good Times sul numero di Life del 14 aprile 1921 c’è scritto: “Bene, ci sono elefanti e ragazze che si tuffano, Joe Jackson e tutto il resto”. È un lungo spettacolo: sedici scene distribuite in tre atti. E Dillingham mette insieme una sorta di “internazionale” dell’extravaganza.

Joseph Francis Jiranek è nato a Vienna nel 1873 e corre veloce in bicicletta. Da ragazzo vince qualche gara, ma presto scopre che quando è in sella può fare anche altre cose. Diventa un campione di bike polo che però, nonostante venga presentato come sport dimostrativo a Londra nel 1908 – le Olimpiadi di Dorando Pietri – non diventa un sport olimpico. Joseph sa fare di tutto con la sua bici, salta, va su una ruota sola, è capace di ogni genere di evoluzioni. Poi un giorno, mentre si esibisce al Crystal Palace, il manubrio si stacca dal telaio: Joseph è furioso, mentre continua a pedalare agita il pezzo staccato. E il pubblico comincia a ridere. E quel giorno nasce Jo Jackson, il più famoso clown in bicicletta del Novecento. Jo si esibisce in ogni parte del mondo, e nel 1920 – come dice l’articolo di Life – è la stella di Good Times. Il 16 maggio 1942 Jo è ancora in attività, anche se si esibisce sempre meno, ma quella sera torna eccezionalmente in scena al Roxy Theatre; finito il suo numero, viene chiamato alla ribalta per ben cinque volte. Dopo la quinta chiamata, si dirige verso l’ascensore che porta ai camerini e sorride al direttore di scena, dicendogli: “Senti, stanno ancora applaudendo”. E crolla per un infarto.

La signora ha mandato Bruno ad acquistare i biglietti per lo spettacolo di fine anno dell’Hippodrome già all’inizio di dicembre. Mentre è in fila pensa che gli piacerebbe proprio venirci una sera con Melina. Se solo trovasse il coraggio di dirle qualcosa. Certo si parlano tutti i giorni, per faccende di lavoro, ma lui avrebbe tante cose da dirle. Non sa come dirle in italiano, figurarsi in inglese. Pensa che in dialetto saprebbe come dirle quanto sono belli i suoi occhi. Quando è il suo turno alla biglietteria, Bruno è ancora immerso in questi confusi pensieri.

Grace Leard è nata nel 1887 a Farmingdale, in Illinois. Suo padre è un pastore presbiteriano e la piccola Grace scopre la musica cantando nel coro della chiesa. Presto capisce che quella voce è il suo talento. Studia a New York e poi a Milano e a Berlino e diventa un soprano di coloratura, una delle più celebri degli anni Venti. Belle Story – sarà questo il suo nome, anche se a volte si trova la versione Storey – è elegante e ha una splendida voce, alterna i concerti e il vaudeville. Il 29 dicembre 1916 si esibisce alla Carnegie Hall insieme al pianista Leopold Godoswki in un concerto in cui mostra tutto il suo talento nelle arie più celebri di Mozart, mentre qualche mese dopo canta insieme a Enrico Caruso. Intanto è la stella dell’Hippodrome. In Good Times compare in ben cinque scene, con altrettante canzoni scritte per lei da Hubbel.

Il 28 dicembre la casa è in subbuglio: i signori hanno ricevuto un invito. Ci sarà una grande festa per salutare la fine del 1920 organizzata da un misterioso gentiluomo che ha acquistato una grande villa a West Egg, a Long Island, poco lontano da dove loro passano le vacanze estive. Non possono mancare. La signora sta facendo diventare matte Miss Morgenstein e Melina per scegliere il vestito, le scarpe, i gioielli. Bruno viene mandato in giro per tutta Manhattan a ritirare pacchetti. Ovviamente nessuno pensa più ai biglietti per Good Times.

Isidro Marcelino Orbés Casanova è nato a Jaca, in Aragona, nel 1873, ma diventa un clown famoso a Londra. Nei primi mesi del 1901 è la star dello spettacolo in cui si esibisce anche il giovane Charlie Chaplin che lo osserva con maniacale attenzione. Anche Marceline – è così che l’artista è conosciuto in tutta Europa – arriva a New York e naturalmente viene ingaggiato all’Hippodrome, dove diventa una presenza fissa degli spettacoli. Ma le sue pantomime alla fine stancano il pubblico e nel 1915 viene licenziato. Tenta la fortuna in altri teatri, ma la sua stella ormai è tramontata. Nel 1920 viene richiamato all’Hippodrome per Good Times, anche se il suo nome non appare a caratteri cubitali come nel decennio precedente. Isidro prova ad aprire un paio di ristoranti, ma è costretto ben presto a chiuderli, tenta di fare qualche speculazione immobiliare, che regolarmente fallisce. Continua a esibirsi nei circhi della provincia. In uno di questi spettacoli lo vede Chaplin che insieme a un altro ragazzo inglese, che si fa chiamare Stan Laurel, è arrivato in America. Charlie si aspetta che Marceline sia il protagonista dello spettacolo, e si stupisce di vederlo insieme agli altri pagliacci. E Marceline sarà uno dei pochissimi artisti che citerà nella sua autobiografia, perché sente un debito di riconoscenza verso quel clown. Il 5 novembre 1927 una cameriera dell’hotel Mansfield di New York troverà il corpo di Isidro, che stringe ancora in mano la pistola con cui si è ucciso, e intorno a lui le foto degli anni della gloria dell’Hippodrome.

Il 31 pomeriggio finalmente regna il silenzio nella grande casa sulla Ventesima Strada. Bruno è già rientrato, dopo aver accompagnato i signori a West Egg. Miss Morgenstein gli ha preparato un piatto di uova al bacon. “Avanti ragazzo, cosa aspetti a invitarla? Quei due posti non possono rimanere vuoti proprio stasera”. “Ma non ho un vestito da mettermi per andare a teatro”. “Questo lo risolveremo dopo, ma adesso bussa a quella porta e non fare lo stupido”.

Sascha Piatov è nato in Russia nel 1888 e ha studiato danza presso il Balletto Imperiale, ma è in Europa e negli Stati Uniti che i ballerini possono avere successo, grazie a Djaghilev, che ha reso così popolare questo genere artistico. Sascha arriva a New York e anche lui viene scritturato dall’Hippodrome. Qui conosce una giovane ballerina, Lois Natalie, danzano bene insieme e in Good Times hanno due numeri: Morning and Night durante il primo atto e Arlecchino e Colombina nel secondo. Lois è presentata come Madomoiselle Natalie: Dillingham sa che una ballerina francese “vende” meglio. Sascha e Lois sono proprio bravi insieme, si innamorano e si sposeranno, continuando a ballare. Sascha, per quanto irriconoscibile, è il protagonista di un celebre poster di Alfonso Iannelli. Alfonso è nato anche lui nel 1888, ad Andretta, in provincia di Avellino, è emigrato ancora bambino con la famiglia negli Stati Uniti e qui ha studiato con lo scultore Gutzon Borglum, quello che poi diventerà famoso per i ritratti dei presidenti sul Monte Rushmore. Iannelli sarà soprattutto uno scultore, rappresentante dello Streamline Moderne, tipico degli anni Trenta e dell’art déco, e un designer industriale, ma all’inizio del secolo disegna i manifesti per gli spettacoli di vaudeville dell’Orpheum Theatre di Los Angeles: quello in cui rappresenta con tratti semplici e colori vivacissimi Mignon McGibeney e Sascha Piatov, ritratto come un clown, è un piccolo capolavoro dello stile di quegli anni.

Melina è contenta che Bruno l’abbia invitata: le piace la timidezza di quel ragazzo italiano. Immagina ci sia lo zampino di Miss Morgenstein, anche perché appena Bruno è andato a prepararsi dopo che lei gli ha detto di sì, la governante è entrata nella camera della ragazza con un vestito da sera. Sembra che tutta New York sia lì. I grandi globi sulla facciata dell’Hippodrome risplendono negli occhi di Melina.

Sono arrivati negli Stati Uniti nel 1915 dalla Spagna, ma gli Hanneford vengono dall’Inghilterra. Raccontano che alla fine del Seicento un loro antenato, Michael, nato in Irlanda, intrattenesse i reali inglesi cavalcando senza sella, facendo acrobazie e il giocoliere. Forse è una leggenda, ma certamente nel 1807 gli Hanneford girano con i loro carri per le città dell’Inghilterra. Quando arrivano in America il capo della famiglia è Edwin “Poodles”, uno dei più grandi acrobati a cavallo: è capace di eseguire una capriola saltando da uno all’altro cavallo e una volta è riuscito a salire e scendere da un cavallo in corsa per ventisei volte consecutive. Un’attrazione del genere non può mancare in Good Times.

Melina e Bruno non hanno mai visto nulla di simile. Si tengono le mani mentre gli acrobati fanno le loro evoluzioni e quando le tuffatrici si lanciano in acqua.

Anche quel ragazzo che cammina sui trampoli è appena arrivato da Bristol. Si chiama Archibald Alec Leach e quando i suoi compagni torneranno in Gran Bretagna, finito l’ingaggio per Good Times, deciderà di rimanere lì. Continuerà per qualche anno nel vaudeville, a fare l’acrobata e il giocoliere, ma è bello e incredibilmente elegante: all’inizio degli anni Trenta arriverà a Hollywood e sarà Cary Grant.

I due giovani escono dal teatro, tenendosi stretti. È cominciato il 1921. Nevica. Forse sono davvero finiti i tempi cattivi. Almeno per loro.

  • Luca Billi è noto sul web anche con il nome di Protagoras Abderites. Trovate un intero vocabolario delle sue storie, qui. Ha appena pubblicato il romanzo Una mucca alla finestra (Villaggio Maori Edizioni)

 

I social: