Di seguito, un estratto del primo capitolo di Ilio Barontini. Fuoriuscito, internazionalista e partigiano (Robin edizioni) di Fabio Baldassarri: antifascista e comunista livornese scomparve in uno strano incidente nel 1951. Il libro, alla sua seconda edizione aggiornata, può essere ordinato in libreria (Messaggerie libri) o qui
La vita di Ilio Barontini subì una svolta il 21 gennaio del 1921, al termine del XVII Congresso nazionale del Psi convocato dalla direzione del partito proprio nella sua città, al teatro Goldoni di via Majer. Ilio aveva varcato l’ingresso del teatro Goldoni senza particolare entusiasmo. Il confronto tra i delegati si era fatto insostenibile, e lui presagiva che il congresso sarebbe terminato con l’avvenimento che la storia contemporanea ricorderà come la “scissione di Livorno”.
Al Goldoni si fronteggiavano i riformisti di Filippo Turati, i comunisti unitari di Giacinto Menotti Serrati, gli intransigenti rivoluzionari di Costantino Lazzari, gli ordinovisti con i comunisti puri capeggiati da Amadeo Bordiga e, infine, il comitato per l’unità comunista guidato da Andrea Marabini. Queste correnti, che durante la prima guerra mondiale si erano scontrate nel duro confronto tra non interventisti e interventisti – tra i cui ultimi figurava Benito Mussolini, direttore dell’Avanti!, socialista espulso dal partito nel 1919 e fondatore di squadre che presero il nome di “fasci di combattimento” – si fronteggiavano di nuovo sulle questioni poste dalla rivoluzione comunista in Russia, e dalle lotte del biennio rosso sfociate nell’occupazione delle fabbriche in Italia voluta dalla Federazione impiegati e operai metallurgici (Fiom).
Ilio, che aveva visto nell’occupazione delle fabbriche un importante fatto di valore rivoluzionario, quando il bulgaro Christo Kabakciev intervenne sostenendo la necessità di un allineamento dei socialisti alle norme della III Internazionale, capì che le sorti del XVII Congresso erano segnate. Su queste basi, che si rifacevano ai dettami della rivoluzione sovietica ed erano condivise dal movimento operaio torinese dei consigli di fabbrica, quanto di più vicino ai soviet si potesse immaginare, o accadeva che la corrente riformista del Psi venisse espulsa, o si manifestava il fantasma della scissione.
Non furono comunque né l’intervento di Turati, che parlò di fallimento del bolscevismo, né la gazzarra scatenata contro Gramsci sui temi delle lotte e delle recenti sconfitte operaie, a rendere irreversibile la rottura. Alcuni ritenevano che la rottura dovesse essere evitata e, anzi, questo fu l’auspicio della maggioranza serratiana che, pur opponendosi ai riformisti, cercò di far prevalere l’unità del partito. Altri, invece, si convinsero che non c’era più niente da fare e che fosse arrivato il momento di creare una nuova organizzazione alla sinistra del Psi dal momento che lo stesso Lenin, pseudonimo del capo comunista russo Vladimir Il’ič Ul’janov, considerava il processo rivoluzionario in Italia più avanzato di quanto non pensassero i riformisti del Psi.
In ogni caso, ciò che avvenne al teatro Goldoni può essere agevolmente riassunto nella dichiarazione di chi in quel momento fu riconosciuto come il capo indiscusso dei comunisti italiani, Amadeo Bordiga: “La frazione comunista dichiara che la maggioranza del congresso col suo voto si è posta fuori dalla III Internazionale Comunista. I delegati che hanno votato la mozione della frazione comunista abbandonino la sala e sono convocati alle 11.00 al teatro San Marco per deliberare la costituzione del Partito comunista […] sezione italiana della III Internazionale.”
Costituirsi come sezione italiana della III Internazionale era una delle norme cui Kabakciev aveva chiesto l’adesione. Il nuovo partito, difatti, si chiamerà Pcd’I ovvero Partito comunista d’Italia sezione della III Internazionale, e tale resterà fino al 1943 quando il suo nome diventerà Pci.
Il Pcd’I nacque dunque al teatro San Marco, un edificio di cui oggi rimane solo la facciata per via dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. In qualche cronaca del tempo si legge che il teatro aveva il tetto sconnesso e ci pioveva. I delegati si ripararono con l’ombrello. L’ambiente non era accogliente, ma Barontini fece il possibile per renderlo meno spoglio con alcune lampade montate in fretta e, sul palco, un tavolo coperto con la bandiera rossa della sezione socialista di Livorno.
In un ambiente così dimesso, e con evidente rammarico per quanto era successo al Goldoni, si può ben capire come non vi fossero particolari ragioni d’entusiasmo. Gramsci, che pure aveva contribuito alla nascita del Pcd’I, definì la scissione un trionfo della reazione. Certe perplessità furono presenti anche in Barontini. Pare che più tardi raccontasse: “Rincasando quella sera conversai a lungo con il compagno Kabakciev, capo della delegazione internazionale. Gli espressi la mia soddisfazione per l’avvenuta costituzione del partito, ma anche alcune mie perplessità. Nel lasciarmi mi disse che era vero, il taglio del vecchio partito era avvenuto in modo non soddisfacente; ma la chiarificazione nella classe operaia sarebbe arrivata attraverso la lotta. Strada facendo ci saremmo ritrovati con i buoni compagni che avevamo lasciato nel partito socialista. Il partito che avevamo costituito non era ancora un partito leninista, ma nel lavoro, nella lotta che sarebbe stata sempre più aspra, con la guida di Lenin e dell’Internazionale comunista, avremmo perfezionato lo strumento che oggi avevamo creato”.
È ormai noto, del resto, come di fronte alla scissione lo stesso Lenin parlasse di successo della reazione capitalista.