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Decameron Project: 29 scrittori raccontano a modo loro i confinamenti della nuova peste

Questo Decameron Project (NN Editore), 29 racconti per intrattenerci alla Boccaccio nel tempo della peste – e scritti su input del New York Times Magazine in occasione del primo confinamento – ci serve al volo, più che distrazione, il senso di provvisorietà della nostra condizione di viventi, ma a tratti (ottimisticamente?) anche quello della attuale condizione di scacco. E fa pensare, non lo avessimo fatto abbastanza in questi mesi.

Però: a parte i manuali da pandemia più o meno filosofici e scientifici, i saggi sfogliati o ributtati con un clic nel cyberspazio, non servivano una volta i narratori a spiegarci come sta e dove va il mondo – compresa la minima porzione che si vede da e in casa nostra?

Vent’anni fa in una libreria Barnes & Noble di New York, ascoltai il mitico Kurt Vonnegut Jr spiegare che un racconto, letto la sera, equivale a una sessione di meditazione, adatta a interrompere l’ottuso flusso automatico della quotidianità. Figuriamoci ora che il flusso stesso è impacciato da un contagio mondiale.

Per questo, ognuno peschi nel Project, compilato da firme estese per geografia ai quattro angoli del globo, quel che gli serve e quel che riesce ad arrivargli.

Noi ci limitiano a anticiparvi che c’è poco sesso – rispetto al Boccaccio come lo tramandarono gli epigoni scellerati di Pasolini –, ci sono tentativi di trarre profitto seppure nel dolore dal disastro, c’è della raggelata rassegnazione, convivono belle pagine e altre tirate un po’ via (decidete voi anche su queste). Nessuno fa lo spiegone, ma tutti “evocano con accenti, stili, lingue diverse le convivenze forzate e le solitudini” (dice bene il comunicato stampa e così lo ricopio).

Vi dò qualche prelievo, partendo dal principio, ma senza rovinarvi il gusto di scoprire da voi il Project. E pregandovi di non mancare il borbottio ansioso di Charles Yu, la love story impossibile dell’haitiana Edwidge Danticat e la pagina forse scontata ma efficace dell’israeliano Edgar Keret.

Comunque. Nel bel primo racconto, firmato dallo scrittore fantasy ma non solo Victor LaValle, il virus “serve” per riconoscersi: svela un contatto ultra mondano che lega due donne in uno spopolato condominio di Washington Heights.

In quello della canadese Mona Awad il Covid (anzi: la malattia che qui spesso non ha nome) si misura con la consapevolezza di sé, che latita in una ragazza sradicata dai suoi ricordi dopo una sorta di esorcismo, combinato sul dark web.

È molto riflessivo riguardo il suo quotidiano Colm Tóibín che spia e invidia un collega sui social network: “Ognuno di noi ha le sue persone ombra, i suoi luoghi ombra ed episodi ombra”. Il confinamento gli serve per registare sintonie e dissintonie con il compagno di vita, e il racconto termina con un giro in bici in una L.A. inedita e stranita, con il narratore inseguito dalle più celebri coppie omosessuali della storia.

Liz Moore esplicita un tentativo di porre argine all’angoscia. Ritrae la “nuova malattia” nell’incertezza angosciosa di una madre davanti a un neonato con la febbre oltre i quaranta. Gli Appunti clinici del titolo mescolano consigli presi dalla rete e altri dalla memoria degli affetti.

Leïla Slimani, premio Goncourt, ha invece mandato al NYT la parabola di uno scrittore (uno poco più di Fabio Volo) colpito da un sasso in modo totalmente arbitrario: sapremo mai il perche? È la nostra condizione attuale?

E poi: Margaret Atwood inventa con humour nero una creatura dello spazio che intrattiene con una fiaba i terrestri confinati in quarantena, rendendo evidente come basta un contatto con una superiore mente aliena – dalla forma di un polpo – per far saltare in aria realtà che crediamo inoppugnabili.

John William Waterhouse, A tale from Decameron, 1916, Lady Lever Art Gallery, Liverpool

C’è un solo italiano nel gruppo. Paolo Giordano, che racconta un lockdown con terzo incomodo (il figlio di lei) e uno stop (interiore) del sesso, che però serve da metafora totale: in fondo il Covid ci ha reso difficile anche solo (simbolicamente?) darci una mano. Forse per questo, il nuovo Decameron è poco boccaccesco, in quel famoso senso volgarizzato del termine.

IL LIBRO Aa. Vv., Decameron Project, traduttori vari, NN Editore

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