Trenta donne. Trenta storie raccolte in giro per il mondo, dall’Africa al sud America fino all’Europa e all’Italia. È Le guerre delle donne, libro intenso e importante appena uscito per Infinito edizioni, di Emanuela Zuccalà, giornalista, scrittrice e regista. Già autrice di testi come Giardino Atomico (Infinito) sul disastro nucleare di Chernobyl, Sopravvissuta ad Auschwitz con Liliana Segre (edizioni Paoline), Donne che vorresti conoscere (Infinito) e di documentari come il pluripremiato Uncut, in questo suo ultimo lavoro Emanuela racconta donne «che combattono, che si riappropriano della loro dignità e della loro vita, che aiutano altre donne a uscire dal personaggio di vittima per entrare in quello di protagonista».
Spose bambine, ragazze vittime di stupri di guerra o di barbare mutilazioni genitali. Ma anche «la madre che grida contro la mafia, la dottoressa che decide di camminare al fianco delle donne più cattive, la vedova, superstite di una strage che ci ricorda come le guerre siano più vicine di quanto ci illudiamo, che si ritrova a combattere, lei stessa, per proteggere il suo dolore e i suoi ricordi».
Emanuela, te lo chiedi nell’introduzione: perché scrivere di donne? Che risposta ti dai?
«Io ho sempre scritto di donne, trattando la grande attualità internazionale da una prospettiva di genere. Ne scrivo da 25 anni e in questo tempo ho visto i dati sulla disparità di genere migliorare un po’ ma non quanto avremmo voluto. Scrivo di donne per parlare di quanto siamo rimaste indietro nell’economia, nella politica, nella rappresentanza. Per denunciare la situazione che vivono in alcuni Paesi in via di sviluppo dove l’incidenza dell’analfabetismo, dei matrimoni precoci, delle mutilazioni genitali è drammatica. Per raccontare il loro coraggio e la loro dignità».
Lo scrive Emma Bonino nella prefazione: «Le storie che Emanuela Zuccalà ha scelto di raccontare sono storie di donne che provengono da Paesi e ambienti differenti, ma nessuna di loro è mai veramente sconfitta, sopraffatta o arresa». Chi sono e come hai scelto le donne di questo libro che nasce da una costola di Donne che vorresti conoscere uscito nel 2014?
«Dal 2014 a oggi ho raccolto tantissime storie in linea con quelle raccontate in Donne che vorresti conoscere. Le guerre delle donne è più vario, spazia tra continenti diversi, e il filo che lega il mio lavoro è quello delle donne che lottano per la libertà, che vogliono essere anticonformiste, costruirsi da sole il loro destino. Non tutte ce la fanno, ma tutte sono impegnate in un percorso che altre, dopo di loro, potranno intraprendere».
Ti occupi da tempo di mutilazioni genitali femminili, sul tema hai diretto due documentari, Uncut e La scuola nella foresta, quest’ultimo uscito da pochi mesi. Scrivi che questa tragedia rischia di diffondersi al traino della pandemia. Perché?
«C’è un report dell’agenzia Onu Unfpa che sottolinea come le misure di confinamento in Africa si riveleranno una trappola per tante ragazzine. Con la pandemia i programmi di sensibilizzazione fatti da ong locali e internazionali si sono fermati, e sono state chiuse le scuole che sono luoghi sicuri per le bambine, di controllo sociale. L’ Unfpa prevede due milioni di casi in più di mutilazioni genitali femminili nel prossimo decennio e oltre 13 milioni di matrimoni imposti a bambine minori di 10 anni. A essere colpite sono anche le comunità africane in Europa, penso a quelle nigeriane, etiopi, eritree e somale».
In Dovremmo essere tutti femministi di Chimamanda Ngozi Adichie, la scrittrice nigeriana si chiede “Perché la parola femminista? Perché non dici semplicemente che credi nei diritti umani? Perché diritti umani vuol dire negare la specificità del problema”. Io non sono così d’accordo. Dice bene Emma Bonino nella prefazione “E’ importante iniziare a parlare di persone, con gli stessi diritti e le stesse opportunità”. Tu cosa pensi?
«Io penso che occorre parlare di diritti umani in generale e che – all’interno di questi – non bisogna però dimenticare che le donne sono il sesso debole (odio questa espressione, ma è così). Da qui la necessità di dedicare loro maggiore attenzione. Sono molto d’accordo con Nicholas Kristof, opinionista del New York Times, vincitore di due Pulitzer, e con la moglie Sheryl WuDunn che nel best seller Metà del cielo dicono che l’attivismo per i diritti delle donne è la battaglia cruciale della nostra epoca».
Tu scrivi che il tuo è un libro doloroso, ma inondato di luce.
«Ne Le guerre delle donne ci sono storie che sembrano avvolte solo dalle tenebre, dal dolore, dalla violenza, e invece mostrano sprazzi di luce. Come quella di una giovane che ho incontrato nel Congo degli stupri di guerra. Aveva in braccio il bambino nato dalla violenza: «Ma lo amo, è mio figlio» mi ha detto. «L’ho chiamato Chance perché mi auguro che almeno lui possa vivere in un mondo migliore». La luce c’è e c’è in tantissime altre storie, cosa inaspettata quando si incontrano persone che sembrerebbero le più reiette della terra».
Arriva un momento in cui le storie che hai ascoltato si coagulano tutte insieme e ti aggrediscono. Quanto è complicato vivere avendo contatti così frequenti con tanti mali del mondo?
«Ci rifletto da tempo. Mentre fai le cose pensi solo a farle bene. Ma quando torni a casa… L’ultimo mio viaggio in Liberia, ormai più di un anno fa, è stato devastante a livello emotivo. Mi sono trovata davanti una donna – una come me e come te – colta e indipendente e con un ottimo lavoro che mi ha raccontato che da ragazza era stata rapita e mutilata. Mi parlava e io sentivo un’eco di mondi remoti, cattivi, eppure avevo di fronte una donna esattamente come me. Come si supera? A me scrivere fa bene. Quando lo faccio o monto un documentario devo per forza razionalizzare, per dare a chi ho intervistato tutto il rispetto che merita, per rappresentare la persona nella giusta luce. Per far si che lei sia contenta del mio lavoro. E’ difficilissimo. Soprattutto con donne di culture diverse dalla nostra. Ma sono cose che ti rimangono dentro, per sempre».
Le guerre delle donne è dedicato “a mamma Pia e zia Enza”. Una mamma che non c’è più da molti anni e una zia «che oggi ha 89 anni ed è una donna intelligentissima e coltissima, molto presente nella mia vita. Due persone agli antipodi, ma con un rapporto meraviglioso, si sono sempre sostenute a vicenda. Io non ho sorelle, ma la loro sorellanza è stata sempre un modello, per me, di quello che dovrebbe essere il rapporto tra le donne».
Foto in apertura: Emanuela Zuccalà in Mauritania, a Nouakchott, con una donne tuareg.
Il libro. Emanuela Zuccala, Le guerra delle donne (Infinito edizioni). In vendita nelle librerie e online ma è anche possibile riceverlo direttamente dall’autrice, con dedica, scrivendo a Emanuela in privato su Facebook o su Instagram.