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David Leavitt, il vecchio Ballo di Famiglia non è mai stato così nuovo

Sono stati ritradotti per SEM, con decisione assennata, i racconti di Family Dancing di David Leavitt: rispetto a trent’anni fa è cambiata l’Italia, cioè la conoscenza (la coscienza chissà) che noi italiani abbiamo dell’essere gay e comunque non sono più un “luogo dove non siamo mai stati” gli United States gay degli Ottanta.

Fabio Cremonesi riceve il testimone da Delfina Vezzoli – traduttrice splendida che si era astutamente barcamenata – e rimette nel testo le dark room e il Gay Pride (allora troppo esotici per noi), adopera gay al posto del burocratico omosessuale, parla spesso di coming out – non mi ricordo se il termine era già stato (non) tradotto così e non trovo più la mia vecchia copia dell’edizione Mondadori.

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David Leavitt fa parte di una triade di giovani americani che conobbe il successo nello stesso periodo, e ci diede l’idea (forse errata) che costituissero una sorta di scuola: Family Dancing esce in Usa nel 1984, in Italia nel 1986, Jay McInerney pubblica Le Mille Luci di New York nel 1984 (da Bompiani nel 1986) e Bret Easton Ellis Meno di zero nel 1985 (da Tullio Pironti nel 1986).

Vennero così accomunati gli eroi pensierosi e delicati di David (quelli cui assomigliavamo, fossimo etero o gay non importa), con gli enfants terribles di Jay (quelli che avremmo voluto essere) e i giovani anestetizzati dalla noia di Bret (quelli che non volevamo diventare).

Forse tutt’e tre gli scrittori – Leavitt di sicuro – possono riconoscersi nei dettami dell’ormai mitologico editor e insegnante di scrittura Gordon Lish: “The best writers are those who put themselves at risk – first destabilize yourself, then restore yourself” (attraverso una drammatizzazione che richiama attenzione). Oppure: “Writing is not about telling; it is about showing, and not showing everything”. Uno strip tease pur se non integrale, insomma, e forse quello che colpisce – soprattutto nel giovane Leavitt, parliamo di lui ora – non è tanto la malizia letteraria – viene infatti percepito dai primi lettori come un loro pari – quanto la sua seduttiva apparente vulnerabilità.

Scrive Leavitt a pag. 71 della nuova edizione (ne Il cottage perduto) a proposito di un coming out, e però sembra rimandare a una confessione d’intenti del suo narrare: “non (era) lo shock della sorpresa, ma quello del non detto che veniva detto, la tanto temuta fine di un silenzio”. Questo shock fa sì spavento ma sembra desiderato, legato in un certo senso a una sorta di esibizione – affermazione di sé.

Forse “minimalismo” – etichetta abusata per definire il lishismo – significa semplicemente per Leavitt (ma anche per i colleghi) affrontare grandi quesiti e drammi attraverso una lente d’ingrandimento puntata sulla quotidianità, su gesti minuti.

Come nel primo testo di Ballo di famiglia, il celebre Territorio – titolo significativo, ex Madre e cani – dove troviamo nella prima inquadratura una mamma volitiva e infelice e il figlio che prende il sole in piscina aspettando per la sera il fidanzato – e rammentando il suo coming out con una genitrice tanto impegnativa…

Leavitt scrive con la sicurezza che gli arriva da una frase regalatagli da Raymond Carver, incontrato da ragazzo in un convegno: “Se capisci una disperazione, capisci qualsiasi disperazione”. È un’altra dichiarazione di poetica – capire qualsiasi disperazione – che può illuminare l’inizio del secondo racconto nell’ambulatorio dove siede contando i giorni la signora Harrington, malata di cancro. E la terribile frase di Carver si avvera persino con grazia, sulla pagina, nel virtuosismo con cui Leavitt indica uno per uno le disperate e i disperati nel testo che dà il titolo al libro: Family Dancing, che tragedia, che sfottitura forse, che tutt’e due, nel ballo di famiglia…

La prima edizione Mondadori

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Tornando da capo. Si vorrebbe che l’introduzione scritta oggi dal Laevitt 59enne sul Leavitt 23enne durasse pagine e pagine, perché narra con acutezza e senza tirarsela la storia di uno scrittore e della sua epoca storica (percepita). Dei quattro anni passati a scrivere racconti, dal 1980 al 1984, con Territorio che gli da fama dopo essere apparso sul New Yorker. Del tempo diverso della giovinezza e della maturità – e non solo riguardo la scrittura. Del mescolarsi di passato, presente e futuro (predetto) nelle pagine di Family Dancing. E poi cose pratiche: di Gordon Lish che gli da consigli su come sequenziare una raccolta (il primo e l’ultimo testo devono essere sgradevoli). Del Coyote Wylie che dice a Leavitt di debuttare pure con un libro di racconti – a Leavitt che adora Paley e Carver – e non con il romanzo che tutti gli chiedono. Di The Lost Language of Cranes che infatti è una concessione al mercato di uno scrittore non convinto.

La pagina dedicata a Delfina Vezzoli è un racconto aggiunto (con una chiusa straziante), oltre al bonus vero, Dieci minuti, un testo del 1986, scritto all’indomani della scomparsa della madre. La nuova versione di Cremonesi ci da spesso l’impressione di leggere non da un e-book ma da un elegante New Yorker cartaceo.

IL LIBRO David Leavitt, Ballo di famiglia, traduzione di Fabio Cremonesi, SEM

Altro su David Leavitt e sull’ultimo romanzo Il Decoro (SEM), leggere qui

Nella foto grande, David Leavitt sulla cover del Ballo Mondadori (1986)

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