Vivere lontano dalla famiglia, dal proprio paese, quasi in apnea, accanto a un vecchio sconosciuto che soffre di demenza, il figlio del quale crede che tu non sappia neppure che cosa sia una lavatrice.
Seppellire l’angoscia in sequenze di gesti meccanici, di pura praticità, condividendo il tempo senza scopo di chi non ha più un futuro. Scegliere l’indifferenza come rifugio, per proteggersi dalla difficoltà del compito e dalla diffidenza che viene rivolta al tuo status di donna straniera. Per sopravvivere, si può provare a imparare nella nuova lingua cinque parole al giorno di cose che ti piacciono.
Non è un incubo kafkiano, ma un conto da pagare al pragmatismo delle società dell’Occidente avanzato: uomini e donne (soprattutto) vi migrano, scappando dalla miseria, e ricevono in delega la cura dei corpi e delle menti dei più fragili, degli anziani di cui noi non riusciamo più a occuparci.
È un viaggio quasi obbligato dalla cittadina romena di Rādeni a Milano: la quarantenne Daniela, che trova impiego come badante (dapprima in nero), si lascia alle spalle un marito imbelle, due ragazzini sballottati tra sogni di istruzione e il niente che offre la campagna, due genitori ancora fieri, i quali sanno che quelli di Ceausescu erano anni terribili, ma che i seguenti lo sarebbero stati di più.
Dopo il soggiorno italiano, Marco Balzano (Milano, 1978) ricostruisce in Quando tornerò (Einaudi) anche il traumatico ritorno a casa della protagonista.
Il romanzo diventa la veglia a fianco di un letto di ospedale (quasi una nemesi), dove ricostruire il contatto tra una madre e un figlio – la madre Daniela che si autoconfessa il rimorso e il rimosso del suo esilio, il figlio Manuel che ha rivelato il suo malessere per l’abbandono in un gesto di folle noncuranza. La madre che forse soffre di Mal d’Italia – così è chiamato dagli psichiatri dell’Est Europa il burnout delle lavoratrici domestiche -, il figlio finito in un oltre da cui forse non si può svegliare.
Balzano evidenzia in un linguaggio piano e preciso le afasie di un discorso ed entra nelle pieghe contraddittorie della realtà, aggiungendo un minimo di romanzesco; ripartisce le sue pagine – per non avere un’unica prospettiva – con una funzionale divisione in tre parti, una per il piccolo di casa, la seconda per la madre, la terza per la figlia maggiore cui tocca incarnare un minimo sindacale di speranza per il futuro. La prospettiva di chi accoglie in casa propria la badante è inutile: è la nostra, già la conosciamo.
Domanda. Si può raccontare una storia così senza eccedere nel pathos o finire nelle secche della sociologia? Quando tornerò
Lo scrittore parte da una necessità – lo spiega in una nota conclusiva – affrontare nel grande tema dei flussi migratori la storia delle lavoratrici domestiche. Sono entrate nelle nostre vite in una dimensione inedita e molto privata – spiega – che cancella la differenza tra luogo di lavoro e di abitazione, e si trovano impreparate e angosciate a gestire situazioni di sofferenza complesse. L’intenzione di Balzano è il riconoscimento, l’ambizione dichiarata quella di un “risarcimento”.
IL LIBRO Marco Balzano, Quando tornerò, Einaudi. Altro dello stesso autore, L’ultimo arrivato (Sellerio 2015) e Resto qui (Einaudi 2018)