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Allonsanfàn
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THEM, una serie black horror negli Usa razzisti anni Cinquanta. Su Prime video

È la grande migrazione nera degli anni Cinquanta: ci si sposta a Ovest, per lavorare nelle fabbriche, lasciando il Sud delle leggi razziali di Jim Crow, che hanno stabilito nei singoli stati il principio dei “separati ma uguali”.

Ma prima di un’auto in viaggio, prima delle chiacchiere dell’apparentemente affiatato nucleo famigliare degli Emory – papà, mamma e due figlie -, in una sorta di incipit trasognato, vediamo la madre in una casa isolata, visitata da una vecchia bianca, una vagabonda fuori di testa che in una maniera suadente e minacciosa, intonando una sinistra cantilena, vuole… prenderle un bambino.

Ecco, comincia THEM, anthology series dell’orrore prodotta da Sony Pictures insieme ad Amazon Original, e disponibile in streaming su Prime Video dal 9 aprile.

THEM parte un po’ (molto) come se fosse un film di Jordan Peele – faro del nuovo horror nero e non solo, con i suoi Get Out e Us, quest’ultimo citato nel titolo – anche se è firmato da un nome relativamente nuovo affiancato da una vecchia volpe, cioè da Little Marvin e dall’executive producer Lena Waithe – 36enne di Chicago, queer, attrice, scrittrice e produttrice con un Emmy in tasca, nota per Queen & Slim (2019), Dear White People (2017-in corso) e The Chi (2018-in corso).

Comunque. L’impatto degli Emory con i bianchi del quartiere residenziale di East Compton, tutti rispondenti a un cliché da cittadino medio ignorante e violento per aumentarne la potenzialità di minaccia, è subito da incubo, senza che venga neppure troppo ritardato il tema horror pronto a “insaporire” quello del razzismo.

Tra momenti stuporosi e accelerazioni shock, piccoli gesti della normalità e presagi da casa degli spettri, dialoghi da commedia e scambi di battute misteriosamente allusive, si forma un cerchio dannato attorno alla famiglia, cui contribuiscono le esperienze (orribili) di guerra di lui e le nursery rhymes (da brivido) ripetute a lei dalla piccola di casa.

Saranno davvero dieci memorabili giorni, il tempo apparente – che ha più di un inquietante doppiofondo – in cui è scandita la vicenda nei dieci episodi della prima stagione di THEM.

L’accoppiata horror-questione razziale è quanto mai battuta da film e serie perché è un trionfo di efficacia. Si avverte ancora di più la difficoltà di vivere alla pari all’interno di un genere che pratica per abitudine la discriminazione e, poiché siamo in presenza di una maledizione che emerge dal passato, l’orrore rinforza pure la potenza di pregiudizi atavici.

Gli Emory, uno per uno, si troveranno a fare i conti con fantasmi di persecuzione e di revanche, conosceremo con loro il lugubre Uomo dal Cappello Nero e il ridanciano e spaventoso Tap Dance Man e, assodato che “il paradiso di un bianco è l’inferno di un nigger”, si viaggerà sempre più speditamente costeggiando il baratro del disastro.

Il razzismo in THEM è denunciato in modo tradizionale ma non troppo – l’ardito Peele, per esempio, in Get Out era andato a raccontare forme di “esclusione” che avevano protagonisti negativi i bianchi progressisti del post Obama. In THEM invece sorgono altre questioni sociopolitiche, di cui risponde Waithe, che rivendica il diritto di descrivere personaggi black complessi e a tratti imperfetti. Ha dichiarato a Vogue: “Qualcuno sta già criticando, ma noi non sfruttiamo la sofferenza delle persone black. Non vogliamo permettere che il mondo si comporti come se a noi, persone black, le cose andassero bene così. Anche se la serie è ambientata negli anni Cinquanta, quello che è accaduto allora ha un impatto ancora oggi”.

Da un punto di vista formale, il racconto di THEM è accurato e ben scandito – con i riusciti stacchi a ritroso nel quinto e nel nono episodio, che è un lungo western tra primitivi coloni – e riesce a mescolare con abilità tasselli realistici e visionari nel portarci dentro la vita dannata di East Compton, soffrendo – come spesso avviene nel genere – di un appesantimento e di incongruenze varie mano mano che ci si avvicina, con sempre più alto tasso di effetti da Grand Guignol, ai fuochi d’artificio del finale. Ma… buona visione!

Piccola curiosità: Shahadi Wright Joseph, meglio nota come la Zora Wilson/Umbrae in Us di Peele, è ora la figlia maggiore di casa Emory, che recita i versi di Emily Dickinson mentre i compagni di classe le fanno il verso della scimmia.

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