Abbiamo visto, per primo fra i 7 film disponibili dall’11 maggio, Il prigioniero coreano (2016). Ci mancava: è un titolo sia politico sia kafkiano, su un poveraccio, il pescatore Nam, sballottato tra Corea del Nord e Corea del Sud. Dopo aver passato il confine per un incidente – la rottura della barca – si ritrova per due volte, all’andata e al ritorno, preso e trattato da spia.
È l’ultimo film in ordine cronologico di una piccola retrospettiva in streaming su Fareastream: Scandalosamente crudele – Il cinema cult di Kim Ki-duk, omaggio al regista più controverso del cinema coreano – oppure al regista col rapporto più controverso con il proprio Paese dove è sempre stato preso (giustamente peraltro) per una sorta di bad boy e piuttosto ignorato. Questo mentre sull’asse Venezia Cannes Berlino vinceva di tutto.
Kim Ki-duk è morto di Covid l’11 dicembre 2020, nove giorni prima del suo 60º compleanno, mentre si trovava in Lettonia per acquistare una casa al mare a Jūrmala.
Questa è l’inappellabile sentenza di Wikipedia su un artista dagli studi e dai lavori irregolari che era scappato a Parigi nel 1990 per dipingere e… che cosa ne sappiamo noi dove ha davvero vissuto dopo, oltre che sui suoi numerosissimi set? Ricordiamo oltretutto le poetiche modalità abitative del protagonista di Ferro 3 – La casa vuota, e il suo suggerimento, qualcosa tipo che …solo l’invisibilità dalla società può farci rimanere umani.
Ma in una casa – si fa per dire – era una spartana baracca di campagna, un giorno abbiamo rivisto a sorpresa Kim Ki-duk, quando, dopo un periodo alla macchia, si è puntato addosso la cinepresa per Arirang (2011), dove svelava il mistero di uno stop dovuto a problemi personali e creativi.
Un falso docu dedicato per davvero a “The countless people I’ve meet while making films… Human relationships that come together as if forever only to rip apart like tissue paper… All of us entangled by love, passion, hate and the urge to kill… To me all this is Ariran”. Kim Ki-duk vinse a Cannes, a Un Certain Regard. Ma a questo punto, forse, si era spezzato definitivamente qualche cosa. Anche perché il mondo stava accogliendo una nuova generazione di registi coreani con il killer instinct per ciò che piace al pubblico e una precisione inumana nei dettagli (insomma, Bong Joon-ho): questo nota l’autorevole Colin Marshall, sul Blog del Los Angeles Review of Books. Cineasti comunque diversi da Kim Ki-Duk, che possedeva invece “an obsessive, near-savage drive to create”.
Se non lo conoscete, partite pure dalle stagioni di Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera (2003) – apologo lirico e sconsolato della condizione umana. Oppure da Ferro 3 – La casa vuota (2004). Nei primi anni del Duemila lo avevano reso “di moda” sugli schermi italiani quasi fosse un cittadino di nessun mondo avvezzo a raccontare solitudine e disagio con una sensibilità un po’ crepuscolare (non era proprio così). Si può rimediare con questa piccola rassegna.
Per info e l’abbonamento, qui
L’isola Corea del Sud 2000, 86’, V.O. con sottotitoli italiani
Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera
Corea del Sud 2003, 103’, V.O. con sottotitoli italiani
La samaritana
Corea del Sud 2004, 95’, V.O. con sottotitoli italiani
Ferro 3 – La casa vuota
Corea del Sud 2004, 90’, V.O. con sottotitoli italiani
L’arco
Corea del Sud 2005, 90’, V.O. con sottotitoli italiani
Arirang
Corea del Sud 2011, 100’ , V.O. con sottotitoli italiani
Il prigioniero coreano
Corea del Sud 2016, 114’, doppiato e V.O. con sottotitoli italiani
Credit: “File:Kim Ki-duk at the 69th Venice International Film Festival.jpg” by Photo by Tania Volobueva (tanka v) is licensed under CC BY-SA 2.0