Dice Enrico Deaglio che se nell’agrigentino ti fermi alla seconda versione dei fatti sei un superficiale. Questo per dire che le faccende di mafia sono sempre un po’ intricate e che quando hai accumulato qualche verità in più ti rimangono comunque numerosi interrogativi.
Se poi parliamo dell’attentato a Paolo Borsellino e agli uomini e donne della sua scorta la situazione si fa ancora più intricata perché lì abbiamo assistito al più clamoroso depistaggio della storia, almeno quella recente, della giustizia italiana. E la nebbia non viene diradata dal libro di Michele Santoro Nient’altro che la verità (Marsilio) che segna il rientro sulla scena del giornalista di Samarcanda.
Ma il rientro non funziona.
Un riassunto è necessario. Vincenzo Scarantino, un delinquente di piccolo calibro (furti e contrabbando), bocciato tre volte in terza elementare che in carcere si faceva scrivere le lettere alla moglie che firmava con la sua impronta, nel settembre 1992 viene accusato di avere partecipato all’organizzazione dell’attentato di via D’Amelio. Le indagini sono guidate da Arnaldo La Barbera, capo della Squadra Mobile di Palermo poi indicato come appartenente ai servizi segreti, in modo discutibile. Per esempio sono pochissimi i testimoni interrogati e qualche mafioso si offende quando gli fanno vedere Scarantino. Cosa Nostra è roba seria non si affida a certa gente. Qualche magistrato ha dei dubbi, non il procuratore di Caltanissetta Tinebra. Tre processi dicono che il pentito è credibile, lui denuncia torture in carcere, dove perde una cinquantina di chili, ma nessuno lo ascolta. La Barbera intanto è fra i protagonisti dell’assalto alla Diaz a Genova durante il G8. Scarantino e altri rimangono in carcere fino al 2008 quando Gaspare Spatuzza, omicida di Don Puglisi, racconta di aver organizzato la strage di via D’Amelio. I riscontri, non fatti per Scarantino, sono positivi. C’è una nuova verità. Il falso pentito, che accusa La Barbera di averlo istruito, e le altre persone in carcere (anche per 18 anni) sono scarcerati.
Pochi giorni fa esce il nuovo libro di Michele Santoro, considerato non esattamente un esperto da chi di mafia si occupa da decenni, che ammette di soffrire la lontananza dal video e in collaborazione con Sandro Ruotolo racconta la storia di Maurizio Avola, ottanta omicidi, uomo di Nitto Santapaola.
Avola dice di avere preparato l’autobomba, partecipato alla strage alla quale era presente anche Matteo Messina Denaro, di essere stato in via D’Amelio con la divisa da poliziotto, fornisce dettagli sui detonatori, aggiunge che se la bomba non avesse funzionato c’era un gruppo di fuoco pronto, Borsellino doveva morire. Per la preparazione dell’autobomba era stato decisivo l’intervento di un esperto di Cosa Nostra americana che chiedeva il favore di un attentato a Mario Cuomo in viaggio in Sicilia mai portato a termine.
È la nuova verità che comprende anche la totale assenza di elementi esterni a Cosa Nostra, il deep state. Cosa Nostra ha fatto tutto da sola. Santoro queste cose le racconta anche da Mentana e Giletti. Peccato che Avola non sia un pentito così affidabile. Fino al terzo processo Borsellino nega il suo coinvolgimento poi ci ripensa e non solo non si trovano riscontri al suo racconto ma i magistrati dicono che ne hanno trovati di segno contrario. Il giorno prima della strage il pentito era a Catania con il braccio ingessato mentre lui racconta che quel giorno era a Palermo a preparare l’autobomba. Per l’omicidio di Pippo Fava parla di luci che si spengono al primo piano mentre la redazione dei Siciliani era in uno scantinato e Antonio Vullo, l’unico agente di scorta scampato all’attentato ha smentito all’Adn Kronos i dettagli raccontati da Avola.
“Dalle indagini della Dia sono per emersi rilevanti elementi di segno contrario che inducono a dubitare tanto della spontaneità quanto della veridicità del suo racconto” dicono i magistrati di Caltanissetta. E così dopo il depistaggio di Stato viene sparso ancora un po’ di fumo su una vicenda che di chiaro oggi ha ancora pochissimo. Perché è stato ucciso Paolo Borsellino? Per la trattativa? Per gli appalti? Non si sa e la domanda è vitale per capire che cosa è successo in quegli anni. Il libro di Santoro non aiuta, anzi, allontana la verità e introduce l’elemento dell’azione solitaria di Cosa Nostra.
Così, secondo Santoro, due dichiarazioni di un pentito discusso mandano in soffitta la “convergenza di interessi” della quale scrivono i magistrati del pool già nell’istruttoria del maxiprocesso. Secondo Santoro si sbaglia anche Nando dalla Chiesa nel libro La convergenza (Melampo) e in Una strage semplice (Melampo) dove cita il pentito Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra giusto un filo più attendibile di Avola, che dice: “L’eliminazione di Borsellino fu accelerata perché la sua capacità di indagare poteva ostacolare gli interessi vitali del sistema politico-economico-criminale che tendeva a farsi egemone”. Attenzione, si tratta di cosa ben diversa dal fantomatico “terzo livello” che guida le azioni della mafia. Qui si parla di interessi convergenti uniti, come ha anche sottolineato Antonio Di Pietro, dal timore della possibile saldatura fra le indagini sulla Tangentopoli del Nord e quella del Sud.
Repubblica ci mette del suo e dedica una pagina intera a Santoro. Poi Isaia Sales, lo studioso che ha sostituito Saviano negli articoli sulla criminalità organizzata, plaude al nuovo Santoro che finalmente si libera di quel retroterra di servizi deviati, politici collusi o massoneria anche se riconosce che se la mafia è autonoma, lo si dice da tempo, ha bisogno del via libera degli apparati dello Stato. Però immediata arriva la smentita dei magistrati: Avola non è attendibile. E Repubblica dopo avere dato spazio sul nazionale a Santoro e Sales, pubblica l’articolo sulle reazioni della procura di Caltanissetta. Però dovete cercarlo bene. Perché lo trovate nelle pagine interne dell’edizione di Palermo.
Il libro.Michele Santoro Nient’altro che la verità (Marsilio)
Foto in apertura Via D’Amelio il 19 luglio 1992. Nella strage morirono Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta