“Lacrime o sudore: sono tante le storie che finiscono in acqua salata”, scrive Amity Gaige nell’ultimo capitolo de La sposa del mare (NN Editore). In questo romanzo ambientato su una barca, ma narrato all’interno di un armadio, ci sono – paradossalmente – i grandi orizzonti, gli enormi respiri dei moti ondosi, l’angoscia stupefatta di una stellata notturna. E c’è la storia di una coppia proposta in una doppia prospettiva: quella dei due protagonisti e quella di due diversi tempi narrativi. Lei è con noi, nel tempo presente, nell’armadio. Lui è lontano, è in un diario, è rimasto nella barca.
Juliet e Michael sono una coppia come tante: una casa, due bambini piccoli, una vita borghese nel Connecticut. Un giorno, però, Michael decide di investire tutto in un sogno che tiene nel cassetto da anni: comprare una barca a vela e vivere per mare con la sua famiglia.
Juliet è perplessa, Juliet è alla deriva da tempo, Juliet gli dice di sì.
In questa costruzione narrativa perfetta, in cui l’autrice parte dalla fine della storia per riportarci all’inizio, in cui ci dice qualcosa di essenziale su come è andata ma non proprio tutto – e noi vogliamo sapere! -, c’è una tensione sottile e una complessità di livelli per cui è possibile, anzi probabile, che l’acqua salata arrivi a scorrere anche per noi.
Il nume tutelare di questo romanzo è Anne Sexton, poetessa premio Pulitzer con la raccolta Live or Die, voce amatissima di quella Confessional Poetry che la accolse e di cui divenne icona assoluta insieme a Robert Lowell e Sylvia Plath. La protagonista del romanzo è una studentessa (interrotta) di poesia e sgrana i versi della Sexton nei suoi giorni di terra e di mare. La feroce contrapposizione che si incontra nel diventare madre (“l’ultima ora del giorno era la più buia di tutte. Ero riuscita a tenere in vita i bambini per tutto il giorno ma avevo paura che negli ultimi dieci minuti potesse accadere qualche catastrofe imprevista”, dice Juliet in uno dei suoi soliloqui) incontra la precisione chirurgica dei versi della poetessa: “E questa è stata la mia colpa più grave / che tu non potevi né curare né lenire / Ho fatto te per trovare me”.
C’è qualcosa di magico o ipnotico in queste pagine, in cui le splendide descrizioni della vita di mare – i diversi blu delle profondità, lo schiocco delle vele tese nel vento – vanno misteriosamente insieme alla rassicurante penombra dell’armadio a muro, in cui la storia viene pazientemente raccontata. Anzi: si può dire che l’armadio è quasi sollievo, un riposo emotivo al troppo dell’oceano. Il dialogo impossibile tra Juliet e Michael è tutto qui: aperto/chiuso, morbida ombra/sole accecante, un uomo con i suoi sogni e una donna con le sue aspettative infrante. Chi sopravviverà?
“Chiunque è difficile da amare, se lo si ama abbastanza a lungo”, scrive Amity Gaige, che con questo libro conferma il suo enorme talento di scrittrice, restituendoci un viatico universale sulla vita di coppia, dove gli opposti convivono, dove la speranza si mescola al sale di ferite che non possono guarire. Un libro da leggere per fare pace con le nostre sconfitte: le storie infatti le scrivono i vincitori, ma per la perdita serve la poesia.
IL LIBRO Amity Gaige, La sposa del mare, traduzione Laura Noulian (NN Editore). La foto di copertina è di Gabriela Teplická, www.teplicka.com