UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Quel virus (forse) sfuggito e i troppi misteri cinesi ne L’infinito errore di Fabrizio Gatti

Il battito d’ali della farfalla che provoca un uragano dall’altra parte del mondo l’abbiamo provato. Con un pipistrello al posto della farfalla e la Cina come altra parte del mondo. Un Paese che, fino al governo precedente, sembra potesse diventare un nostro grande amico. Ma mentre si discuteva della via della seta e di amichevoli rapporti bilaterali, stava arrivando qualcosa che avrebbe messo in ginocchio le economie, cambiato il corso della storia, ucciso milioni di persone.

A raccontare l’inizio di questa storia è Fabrizio Gatti, giornalista dell’Espresso che ne L’infinito errore (La Nave di Teseo) presenta il volto meno conosciuto del coronavirus. Se Francesca Nava ne Il focolaio (Laterza) e Luca Ricolfi ne La notte delle ninfee (La Nave di Teseo) hanno spiegato con dovizia di particolari e di dati la faccia italiana della pandemia, Gatti si spinge oltre, in un territorio difficile da esplorare, dove le ombre sovrastano le luci. E lo fa con un libro che Google non permette di pubblicizzare “perché i temi della pandemia sarebbero stati trattati con poca sensibilità”. Un’accuse molto difficile da fare al lavoro di Gatti che ha messo un grande – e a tratti sembra anche sofferto – impegno per un libro non esente da difetti, di faticosa e difficile lettura, ridondante, che in certi tratti amplia troppo il campo e rischia di fare perdere di vista il percorso principale. Che c’è e parte non tanto dai laboratori ma dalle grotte dove i pipistrelli vivono in tranquillità fino a quando non arrivano gli umani a disturbarli.

L'infinito errore Fabrizio Gatti La Nave di Teseo

Il lavoro di Gatti parte dalla prima epidemia di Sars del 2003 per passare al 2005 quando si scopre il legame tra il coronavirus della Sars e i pipistrelli. Il link viene individuato grazie alle visite che gli uomini e le donne dell’istituto di virologia di Whuan fanno nelle grotte piene di escrementi dei simpatici chirotteri.  Altri ricercatori si impegneranno nello stesso lavoro, come Tian Junhua che dopo essersi specializzato nell’osservazione degli scarafaggi passa ai pipistrelli con più di una lacuna sul fronte della protezione. I ricercatori, è quindi l’ipotesi, possono avere contratto un contagio asintomatico da un virus che nel 2013 è stato estratto dal suo habitat e portato per motivi di studio a 1.600 km di distanza a Wuhan che, si scoprirà poi, non è proprio un sinonimo di sicurezza.

La campagna di raccolta prosegue anche nel 2019. I ricercatori che hanno lavorato nelle grotte, oltre a condurre la loro vita normale, hanno frequentato i laboratori dove però la sicurezza è carente. Yuan Zhiming, direttore del laboratorio di biosicurezza nazionale di livello Bsl-4 dell’Istituto di virologia di Wuhan, due mesi prima dello scoppio della pandemia scrive infatti un articolo sul Journal of Biosafety and Biosecurity dove denuncia la mancanza di finanziamenti, scarsa manutenzione degli impianti e l’addestramento insufficiente che non permettono di garantire gli standard internazionali. Più che accidentalmente scappato da un laboratorio il virus potrebbe avere avuto la libertà di entrare e uscire a piacimento.

La faccenda si fa molto complicata perché in mezzo c’è l’attività dell’esercito cinese che scopre un altro paio di versioni del coronavirus con alte percentuali di identità con il Sars-Cov-2 e che molti dimenticano e poi, sempre a Wuhan, c’è la misteriosa presenza del coronavirus RaTG13 registrato con sette anni di ritardo rispetto al momento della raccolta.

Dibattendosi fra la censura e il controllo ossessivo dell’apparato cinese, Gatti scopre che i due comitati internazionali di controllo dell’istituto di virologia di Wuhan non esistono. E che in pratica da anni i cinesi sono impegnati nella ricerca sui coronavirus con garanzie di sicurezza inadeguate.

Ma quando la pandemia scoppia le autorità reagiscono prontamente e l’isolamento di Wuhan è immediato. Anzi, no. Mentre noi guardavamo in tv le immagini di una città deserta e blindata, secondo il sindaco della città cinese cinque milioni di persone, la metà della popolazione, se ne era andata. Ovunque. E secondo gli americani molti sono arrivati in Italia dove i voli erano aperti, con il governo che aveva firmato un accordo per aumentarli.

Gatti pone domande che rimangono senza risposta. Se il parente stretto del virus è stato trovato a centinaia di chilometri di distanza perché l’epidemia è scoppiata a Wuhan? E ancora: se è confermato che al mercato del pesce di Wuhan non c’erano pipistrelli, l’infezione come ha fatto ad arrivare in città? Perché la versione ufficiale rimarrà quella del mercato di Wuhan. E poi c’è un altro aspetto che Gatti sottolinea. Perché l’Oms ha deciso di chiamare Covid-19 la malattia quando invece sarebbe stato molto più logico utilizzare il vecchio nome della Sars? Ci saremmo risparmiati qualche discussione inutile sull’influenza e anche qualche morto? Vedere alla voce Tedros Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, e la sua accondiscendenza verso la Cina. L’indagine dell’Oms del febbraio di quest’anno infatti non porta a risultati apprezzabili. I ricercatori non hanno accesso ai dati grezzi e su 313 pagine solo quattro sono dedicate all’ipotesi, definita improbabile, del virus fuggito dal laboratorio.

Intanto, notizia di questi giorni, il presidente americano Biden ha dato tre mesi di tempo all’intelligence Usa per un report esaustivo sulla vicenda.

L’ultima parte del libro è sullo sviluppo della pandemia in Italia, la mancanza dei materiali di protezione per gli ospedali mentre Di Maio mandava 16 tonnellate di mascherine e altro in Cina, la lotta per accaparrarsi i respiratori e le fantastiche avventure dell’assessore regionale lombardo Gallera.

Storie grandi e piccole, tanti, troppi morti, di fronte a uno scenario mondiale che ha ancora molto da raccontare.

Il libro. Fabrizio Gatti, L’infinito errore (La Nave di Teseo)

 

Credit foto in apertura: Technician working in a laboratory, China by ILO in Asia and the Pacific is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

I social: