Leggo Non ho molto tempo (Marsilio), il libro nel quale Grazia Verasani racconta Ezio Bosso, e mentre leggo ho l’impressione di sentire le note delle sue composizioni. E di vederlo, mentre dirige l’orchestra con quella sua aria stravolta e felice ma anche un po’ incazzata, l’aria di chi ama la musica più di se stesso e, insieme, sa che di tempo – per quella musica e per quella vita – non ne ha quasi più.
Grazia ci fa partecipi del legame fortissimo che aveva con il compositore e musicista. Un’amicizia burrascosa e intensa, felice e a tratti dolorosa, narrata in un libro molto diverso dai romanzi a cui Verasani ci ha abituati. Un libro, dice lei stessa, «che è atto d’amore e di verità di chi gli era realmente vicino, di chi ha vissuto un quotidiano scambio di affetto e di stima reciproci. Resto convinta che conoscere meglio il lato umano di un grande artista è amarlo mille volte di più».
Bosso se ne è andato lo scorso anno, nella notte tra il 14 e il 15 maggio, a 49 anni, per una malattia neurologica che lo aveva colpito nel 2011. «Ogni volta che dichiarava di avere avuto una vita meravigliosa ero tentata di mollargli un ceffone» scrive Verasani. «Perché pensavo a quella non ancora vissuta, o a quella che spetta di diritto quando la gioventù non è ancora del tutto finita».
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Ezio Bosso io l’ho scoperto grazie all’ospitata al festival di Sanremo, nel 2016, in una sera che vide l’Italia fermarsi (davvero, persino i social si zittirono) ascoltando la sua Following, A Bird. Una popolarità esplosa in una manciata di minuti, nei confronti di un artista che aveva come scopo primo far arrivare la musica a più persone possibile.
Lo ricordo agitare le braccia, la bocca spalancata, la testa all’indietro e poi, giù, verso il piano. Ricordo la sua musica e le sue parole: «Noi uomini tendiamo a dare per scontate le cose belle», «La musica è come la vita, si può fare in un solo modo, insieme».
E ciò che ho provato allora lo ritrovo oggi nelle parole di Grazia, quando scrive di quel concerto a cui lei assistette il 18 luglio 2014 a Cesenatico: «Girandomi verso il pubblico notai un unico blocco di gente impietrita, stupita, silenziata, alla mercé di qualcosa che non aveva previsto e che gli smuoveva emozioni inedite. Non era solo l’effetto della sua musica, a meravigliare era anche la forza del suo corpo teso, plastico mentre la eseguiva, un corpo fragile e insieme inaffondabile. Solo più tardi avrei capito quanto lo avviliva essere giudicato per il dolore di una sentenza, per quei pochi mesi di vita che alcuni medici gli avevano erroneamente pronosticato, invece che per la sua abnegazione, il suo talento, persino quando suonava con le dita che gli sanguinavano sulla tastiera».
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Il libro è un libro da leggere. Storia di un compositore e dell’importanza della sua musica. Un uomo che ha testimoniato, con ogni sua azione, ogni sua intemperanza, ogni sua parola o nota, che la vita è fatta per discutere, che gli amici sono fatti per discutere, che la musica è fatta di punti e contrappunti, cosi come l’amore.
Ma il libro è anche opportunità di riflessione sul senso che diamo alla vita, su come cerchiamo di affrontare la morte. E soprattutto è esempio della forza di un’amicizia che resta tale, nonostante l’assenza.
Sulla pagina Facebook di Grazia Verasani si legge: «Ho scritto questo piccolo libro in due mesi, di getto, perché scrivere non è solo il mio lavoro, ma uno strumento catartico, e le parole, un anno fa, hanno alleviato l’assenza, le sentivo spingere, e le ho semplicemente fatte uscire. Un memoir, si dice, stralci di un legame importante, una scrittrice e un musicista, due amici, il significato che ha avuto per me un incontro di tale potenza. Tutto qui, nient’altro più di questo. E naturalmente, il cuore».
Il libro Grazia Verasani Non ho molto tempo (Marsilio)
Foto Grazia Verasani is licensed under CC BY-SA 4.0
credit foto in apertura Ezio Bosso: “All4TheGreen – June 5” by Connect4Climate is licensed under CC BY-NC-SA 2.0