I fascisti nell’Oregon gridan tutti… “Me ne fregon!”
E le sedie nel Connecticut c’hanno la corrente electricat!
America, ma che ce vengo a fa’?
Io c’ho uno zio, cugino di papà,
Che fa il perito fiscale a Bergamo Alta!
America, dall’album Cara Kiri, autore Pippo Franco
L’Oregon Presidential Primaries Bill del 1910 fu la prima legge statale a incorporare le primarie come strumento di selezione dei candidati alle elezioni presidenziali. Negli Stati Uniti ricorrono alle primarie sia i democratici che i repubblicani, è uno strumento condiviso, riconosciuto come basilare per la vita politica della nazione. Nacquero per democratizzare la selezione dei candidati e limitare il potere dei partiti, anche se così poi non fu fino in fondo. Le primarie italiane sono molto diverse. Intanto sono patrimonio quasi esclusivo del centrosinistra, solo Matteo Salvini le ha usate all’interno della Lega quando è stato eletto segretario, e Fratelli d’Italia per incoronare Giorgia Meloni.
Certo, magari le nostre non saranno esaltanti come quelle statunitensi, quando puoi scegliere tra la Clinton e l’Obama, tra il Sanders e il Biden, però sempre a bandiere che garriscono al vento, gazebo, alcol e porchetta, adesso anche vegana, finiscono. E finiscono tutte con tutti i candidati che con le dita incrociate dietro la schiena spergiurano che “da oggi faremo tutti fronte comune a sostegno del vincitore”, mentre si collegano con Tor alla rinata Silk Road sul Deep Internet, dove per mille dollari puoi trovare un sicario disposto anche a disfarsi del corpo della persona da eliminare. In fondo non costa molto più di una campagna pubblicitaria sui social.
Le primarie italiane allora. Quelle dell’Unione nel lontano 2004, interne al Pd oggi, ai Ds ieri, di coalizione del centrosinistra, per il governo nazionale, per il governatore della regione, per i sindaci o per la fiera del pistacchio: le indice il Pd, le organizza il Pd, le gestisce il Pd, le vince il Pd. Non sempre però. In principio fu Vendola. Che col verbo, compresi articoli e aggettivi, ha da sempre avuto molta dimestichezza. A inaugurare definitivamente la stagione delle primarie italiane, 16 gennaio 2005, fu infatti un risultato inaspettato. Oddìo, inaspettato: se il tuo avversario si chiama Francesco Boccia, oggi ministro nel governo Draghi, convinto che gli F35 siano elicotteri salvavita e non cacciabombardieri, e che esaltato dalla prima sconfitta contro il futuro governatore della Puglia tentò, riuscendovi, di conseguire la seconda nel 2010 e a cui solo il destino cinico e baro negò la gioia del triplete, forse tanto inaspettato non era. Ma segnò un punto di non ritorno nelle vicende della sinistra italiana. Da sempre c’è confusione tra primarie del Pd e primarie della coalizione di centrosinistra. Quelle che si sono svolte a Roma e Bologna domenica scorsa sono di coalizione per esprimere il candidato a sindaco nei due comuni, ma in questo caso i candidati del Pd hanno vinto con maggioranze bulgare, anche se in Bulgaria ormai, andato via Baffone, se uno prende il 60 o il 70 per cento dei voti si parla di maggioranza piddina e si prepara alla fuga.
Abbiamo fatto però un torto ad Agazio Loiero, perché in realtà cronologicamente, nel novembre del 2004, vinse le prime primarie mai tenute in Italia e per l’esattezza a Lamezia Terme, per essere incoronato governatore della Calabria per l’Unione. Su scala nazionale le primarie esordirono incoronando Romano Prodi alla guida dell’Unione, sempre nel 2005, con il 74 per cento dei voti, secondo Bertinotti con il 15 e terzo Mastella. E già, Mastella, che sfiorò il 5 per cento e che, secondo alcuni, fece cadere il secondo governo Prodi. Va anche detto che fu Prodi sopra ogni altro a volere le primarie, ma va anche specificato che all’epoca non aveva un partito, non era Ds e il Pd doveva ancora vedere la luce. Andò a finire molto male, la coalizione non andò oltre i due anni di vita e forse proprio per questo spirito costruttivo Veltroni decise di ripercorrere la stessa strada: primarie per la guida del Pd stravinte nel 2007 con il 75 per cento dei voti e fuga dal Pd dopo aver perso le elezioni nazionali due anni dopo e quelle in Sardegna subito appresso. E fu proprio la necessità di sostituire il leader del Pd che portò alle primarie del 2009, vinte da Pier Luigi Bersani. Poi fu tutto un fiorire di primarie fino a oggi, ma in molti non arrivarono poi primi. Guarda Renzi, che vince le primarie del Pd contro Cuperlo e Civati con il 70 per cento dei voti nel 2013 e adesso guida un piccolo partito da 2-3 per cento.
Disse Sun Tzu, a proposito delle primarie, anzi era Il libro della Giungla: “Tutti i cani abbaiano quando si sentono al sicuro”
Il problema principale delle primarie è che i candidati vanno molto in giro e sono quindi più esposti a domande non previste e reazioni non controllate dallo staff elettorale. La disistima verso la politica si è espressa per ultimo in questi giorni a Roma, quando i candidati alle primarie hanno iniziato, vestiti con sahariana e portando fondi di bottiglia da offrire agli indigeni, il giro obbligatorio delle periferie. Neanche uno di loro è stato insultato e questo ce la racconta lunga sull’incidenza delle primarie tra la popolazione non attiva politicamente. Certo, meglio la gita in periferia che la gaffe di Giachetti, che nel 2016 confessò candidamente che il Pd non aveva alcun programma per Roma e per punizione venne chiuso per giorni in una stanza con il commissario del Pd Matteo Orfini e non bisogna quindi biasimarlo troppo se alla fine ha lasciato il Pd. Va anche detto che pure Orfini dopo s’imbarcò, se non proprio su un cargo battente bandiera liberiana, almeno su una nave della Sea Watch che aveva salvato 47 migranti. Insomma le primarie sono una riduzione in scala della politica come arte della guerra e quindi non possiamo chiudere che citando il massimo interprete di quell’arte. Disse Sun Tzu: “Tutti i cani abbaiano quando si sentono al sicuro”. No aspetta, quello era il Libro della Giungla, quella di Sun Tzu per le primarie, a cui partecipò nel VI secolo A.C., dove l’ho messo, era qui, aspetta, ecco: “La strategia è la via del paradosso. Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile. Chi è affabile, si mostri scostante; chi è scostante, si mostri affabile”. Potresti obiettare lettore-lettrice che questa frase vuole dire niente e tutto. Ed è proprio per questo che è assolutamente appropriata alla grande innovazione portata in politica dalle primarie in Italia.
Credit: Roberto Gualtieri by European Parliament is licensed under CC BY-NC-ND 2.0