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Allonsanfàn
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Idealista. Arriva lo spot intelligente sulla civiltà della normalità

La pubblicità, ormai lo sanno anche i paracarri, non ha mai inventato niente. Contrariamente a ogni altra forma di comunicazione, la pubblicità non precede, non anticipa, non determina nessun cambiamento. Nel migliore dei casi lo annuncia. Come il solerte commercialista e l’avveduto notaio, la pubblicità annusa lo spirito del tempo e sagacemente lo rende manifesto. È stato così al tempo del “chi vespa mangia le mele” e del “cuore di panna”, campagne dedicate a una nuova generazione di adolescenti finalmente liberi di scoprire (e in qualche misura pure praticare) sentimenti ed emozioni.

Inutile (ingiusto?) chiederle di più. La pubblicità, soprattutto quella “buona” cioè fatta bene, misura la sua ontologia attraverso una sola metrica: le vendite. Tutto il resto – notorietà, reputazione, moralità – sono le fole che il bravo pubblicitario sa di dover raccontare (e, dall’altra parte della barricata, il bravo cliente sa di dover ascoltare).

La pubblicità è come l’intendenza dell’esercito. (“L’intendenza seguirà” diceva il generale De Gaulle e forse prima di lui Napoleone Bonaparte). Segue il corso del costume se e quando quest’ultimo è divenuto “comune sentire”. E se non proprio comune, cioè accettato da tutti, almeno il sentire di quella parte della società egemone rispetto alle tendenze, agli stili di vita, ai consumi. (L’arte provoca, stranisce, strania, stupisce. Fa pensare e qualche volta fa pure male. La pubblicità non può e non deve).

La notizia che ha generato queste riflessioni è (finalmente) una buona notizia. Anzi, un’ottima notizia. Dopo le campagne Ikea che narravano storie di famiglie le più varie e variegate possibili, dopo il coraggio di Zalando che racconta la moda addosso a fanciulle sovrappeso e ad amanti afro e gay, lo spot di Idealista (potete vederlo cliccando qui) sancisce in modo semplice e intelligente la civiltà della normalità. Di quello che dovrebbe essere – ma in alcuni casi ancora non è – “normale”: amare chi si vuole, come si vuole, come si può. Forse che stiamo diventando un Paese più libero, più rispettoso, più mite?

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