Da quando la rete ha reso tutto disponibile, a portata d’occhio, aprendo al volgo gli scaffali di biblioteche infinite, è un’impresa per l’editore – e pure per il suo ufficio marketing – estrarre dal cilindro il coniglio bianco del grande scrittore ignoto, il maestro che torna dall’oblio, porgendo – proprio a noi e a chi altri? – la sorpresa di un capolavoro caduto nelle tenebre, finito senza scampo nelle montagne della carta straccia.
Sogna sempre simili incontri esclusivi il timido e frustrato frequentatore di librerie d’antan – ovvero il consumatore romantico che dimora in noi e in varia percentuale un po’ in tutti, boomers e millennials, senza distinzioni di cultura – e meglio ancora se il libro si rivela un delizioso o terribile librino, l’autore un tipo o una tipa fuori dai ranghi, quasi il fantasma di un lontano parente, e che le sue pagine di compiuta meraviglia siano facilmente edibili pure nelle nevrotiche pause pranzo di schiere di colletti bianchi scazzati e mascherinati.
Be’, ad Adelphi è riuscito di nuovo il gioco di prestigio. Il coniglio candido prende le generalità di un voyeur gentile (all’apparenza) della vita, di un osservatore acuto e assolutamente inutile – fin dal titolo del volumetto di Adelphi, Un uomo inutile, prendiamo per avviso questa autoproclamazione di inettitudine, così cara all’ambiente delle lettere e spesso foriera di oscuri e inquieti destini.
Ecco comunque Sait Faik Abasıyanık, ragazzo turco forse mai diventato uomo – anche se morto a 48 anni nel 1956 – ed è scrittore soprattutto di racconti, pure di pezzi di racconti, spesso toccati dal linguaggio e dall’incanto della poesia.
Sait Faik li ha nutriti dei suoi vagabondaggi costeggianti il tran tran del nulla o appoggiati sui davanzali dell’abisso, con la felice ed estenuata cautela di chi non ha mai avuto spento il desiderio e la capacità di riconoscere e reinventare il prodigio del vivere, seppure sentendosi fragile e senza pelle, seppure irrealizzato sempre e spesso disperato. Sait Faik, il flâneur, si muove senza tregua tra i popolosi quartieri di Instanbul e vicino alla casa materna, mai abbandonata, all’isola di pescatori di Burgaz. Scrive di notte, appena si ferma, sapendo di non essere adatto davvero a niente, men che meno all’amore.
Deluso dagli studi classici, dedito all’alcol che lo distruggerà, diviso tra salotti colti (pochi) e caffè popolari (molti), legato a una rendita paterna più che alla produzione letteraria, non riconosciuta peraltro nella Turchia del dopoguerra, Sait Faik è l’outsider ideale da frequentare in questa estate stranita e per certi versi esposta a una imprendibile normalità.
I racconti di Un uomo inutile, raccolti e tradotti da Giampiero Bellingeri con Fabrizia Vazzana, sono quelli di una vita, scelti democraticamente tra tutte le raccolte di Sait Faik, uscite a partire dal 1936 e recentemente riordinate in patria da YKY – da noi, era stato già pubblicato nel 2007 Con poco zucchero (A Oriente).
In prima persona, si risolvono in lampi di poche pagine e, più di rado, rispondono a soluzioni di trama strutturata, addirittura con scioglimento nella riga finale.
Si veda Il fazzoletto di seta: condensa in un pugno di parole due destini, quello di un improbabile guardiano di fabbrica e quello di un piccolo ladro innamorato, e seta e sangue sono la carta e l’inchiostro con cui è scritto.
Due o più che si incontrano e appena si sfiorano. In Chi se ne importa, la casa in cima alla collina può essere ammirata perché è “la casa ideale” di una famiglia (o di una specie di) oppure, quasi fosse una congiura ordita in un incubo, raccogliere attorno a sé la crudele noncuranza del mondo.
E terribile è la città del racconto del titolo: cova in sé i presunti doni dell’esistenza e insieme i suoi più grandi pericoli, fatto salvo che entrambi – e così pure il narratore, intimorito e febbrile protagonista della storia – rispondono alla follia della precarietà.
I racconti di Un uomo inutile, raccolti e tradotti da Giampiero Bellingeri con Fabrizia Vazzana, sono quelli di una vita, scelti democraticamente tra tutte le raccolte di Sait Faik, uscite a partire dal 1936. Sait Faik muore alcolizzato nel 1956
Un uomo inutile è un libro metropolitano, quello di uno scrittore conscio che, nei quartieri di un moderno agglomerato, noi esistiamo solo se qualcuno ci pensa (L’uomo in birreria). Mai esistiamo se, invece che vite concrete di lavoro, a cui siamo inadatti, affidiamo i nostri passi all’inseguimento del desiderio e ai vani poteri della scrittura.
Quanto è autobiografico allora l’uomo senza un mestiere che parla in Un problema di corda – riceve soldi per uno scritto e li usa per comprar pane da gettare ai gabbiani, medita di fuggire dalla città inospitale ma poi si arrende alla minestra della madre con un sorriso sulle labbra che è una ferita di coltello. Invidia persino un facchino derubato.
Ci piace leggere e rileggere Pioggia, che conferma i temi della solitudine e dello spaesamento contemporaneo e che è insieme dichiarazione di una poetica e visione struggente del mondo sotto un improvviso temporale.
Il protagonista è un ragazzo ubriaco che cammina esaltato sotto la pioggia e prende a seguire una ragazza che gli sembra bellissima – non la vedrà bene in volto e a lei chiederà di non voltarsi. Desidera solo dirle che ha ragione Dostoevskij, “C’est la beauté qui sauvera le monde” – e cosa altro potrebbe farlo del resto: la bontà o la cattiveria, l’amore o il disgusto, la letteratura? Il gratuito approccio, il piccolo choc da incontro con la sconosciuta apre il ragazzo ubriaco alla sincerità più completa e si ferma infine su un’altra frase, non per caso di Baudelaire (abbiamo straparlato qui di flâneur a ogni riga), “il mondo è bello malgrado tutto”.
Buona lettura e buone scoperte. E quando avete chiuso il libro, tornate un attimo sulla bella fotografia in copertina, giusto per chiedervi se da oggi avete un dio in più nel vostro Pantheon di scrittori, e se potete carpire qualcosa allo sguardo di Sait Faik Abasıyanık, il ragazzo che vi è raffigurato. Se invece io ho preso un abbaglio, scrivetemi su FB.
IL LIBRO Sait Faik Abasıyanık, Un uomo inutile, traduzione di Giampiero Bellingeri e Fabrizia Vazzana (Adelphi)