Ma who the fuck is ’sto Bo Burnham? Uno che ha passato – dice – la pandemia chiuso in una stanza preparando uno show per Netflix su uno che sta chiuso in una stanza super tecno attrezzata col parquet a listoni ultimo grido, poveretto, a causa della pandemia. Quale occasione migliore dovrà allora avere pensato uno che di mestiere fa il comedian, ma anche il musicista, il cantautore, lo scenografo, il regista e tutte le altre discipline che da noi andavano di moda ai tempi del DAMS.
Solo che allora nessuno ti diceva che stavi buttando i tuoi vent’anni nel cesso, ma anche se fosse stato, con la giusta presupponenza di quell’età, avresti pensato, nella stanzetta in condivisione del tuo microcervellino, molto ma molto tempo prima che qualcuno ti spiegasse, non avendocela tu fatta davvero, che eri un complottista, un elegante modo di dire oggi che sei uno stupido naïf, non avendoti nessuno più insegnato – rimossa la Frankfurter Schule in blocco col ’68 e il ’77 – che avere un destino, nel senso ovvio di avere successo, è come avere in dote un talento, questione di nascita, non di puzza di sudore, mentre la raccomandazione si metamorfizzava in segnalazione, giusta se pure Eco star di quel luogo alambiccava che nulla vi era di male e nessuno avrebbe mai segnalato uno stronzo (omettendo però che a parità di risultato come a parità di insulsaggine dei lavori la differenza la faceva eccome!), avresti pensato – si diceva – che essendo tu il migliore del reame, anche senza il palco virtuale di YouTube, a tuo insindacabile ovvio giudizio, perché comunque direbbe Salinger ognuno è Gesù di se stesso, non avresti poi mai avuto modo di pentirtene.
Reduce perciò questo Bo Sapientino dalle sue turné di successo, e col contrattino della major, fa della metafisica sulla sua condizione di privilegiato riflettendo con un calzino (bianco anch’esso perché il punto di vista critico sia chiaro: ma tutta quell’insistenza a dichiararsi white perché? Facile ironizzare sui sogni mentecatti della Instagram White Woman, al prossimo giro provare con gli incubi della Black analfabetizzata che sogna per interposta persona mentre les bourgeois vanno a letto comme les cochons con la coscienza a posto perché accolgono donando “una vita che non si può vivere”: abbi pietà di loro Adid e di noi cancellati nel buio con le pile scariche) infilato su una mano ma vestendo assai più hype sull’insipienza della sua generazione tutta, scusandosi per avere dato degli stronzi ai boomer ora che ha capito quanto vacui sono gli zoomer, il tutto ponendosi alla giusta distanza perché – fino a che non si dichiara reo confesso gliene avremmo dati 3 per lo spirito di gallina e 99 per l’analisi critica come fosse un gioco della Clementoni – essendo alla svolta dei 30 anni, con conseguente crisi di passaggio di tutti quelli che non hanno mai sperimentato di avere ottant’anni a venti e venti a cinquanta, lui si reputa un vecchio Millennial e quindi dotato di superiorità morale almeno nei confronti di chi fa sexting chiuso nella cameretta, o si lascia irretire dallo storytelling dei brand che si sono scoperti buonisti e criptogay per valore aggiunto e quindi bio e meglio se chilometrozero anche se la delocalizzazione non la fanno più nel Triangolo d’oro ma si portano i cinesi a Prato, gli africani in Lucania e i filippini in casa, e l’unico rigurgito su quanto agiata e agée sia la sua esistenza riflessiva in salsa comica – chiuso in una stanza che solo di elettronica ha il pil della Somalia, epperò disordinata col gusto estetico di una redattrice di Elle Décor, tutto un intreccio di cavi, ma non è arrivato il wifi?, tra organetti e faretti e laptop e microfoni e ovvio il condizionatore più una ventola al soffitto che si sa, va bene farsi chiudere in casa, ma Antò fa caldo e chissene a sto punto della Thunberg, tanto bevo acqua mica Coca-Cola e con quello che inquina Netflix con lo streaming potresti metterti una pala eolica in soggiorno attaccata alla spina – è accennare ai coetanei suoi che back in the Sixties non costruivano voliere con la mamma ma sparavano ai vietcong come fosse un segno del lassismo generazionale, un po’ come quel nostro generale che dichiarato lo stato di guerra, dopo quello di emergenza ormai rinnovata come gli stage non retribuiti, offre birretta o cappuccino ai giovani recalcitranti alla leva del vaccino o quel medico che visto lo scarso successo presso la sua stessa scientifica categoria se ne esce minacciando di fucilazione gli obiettori in quanto disertori.
Inside, dunque, è questo spaccato della vita sua, ai mediatici tempi sospesi del Corona virus, pensando che l’assioma dentro casa uguale dentro di sé costringendolo a fare gli insulsi conti con se stesso, come accade a tutti quelli che si pavoneggiano col sé, e se non ce l’hanno se lo fanno imbellettare a pagamento non sapendo nemmeno tagliarsi i capelli da soli come il pre boomer Cacciari, sprigioni – letteralmente – chissà quale arguzia e finezza intellettuale oltre all’ovvia salvifica pure per chi scoreggia energia creativa…
Ma il problema non è esprimersi con gli emoji, il guaio è non comprendere il testo scritto anche quando è più chiaro di un DCPM o del PNRR… Quando l’unico titolo dirompente sarebbe stato Outside – ma certo allora avere il coraggio almeno di rispondere alla propria domanda retorica “Ma avrei scritto, musicato, sceneggiato, coreografato tutto questo senza sapere di essere pagato?” sarebbe stato superfluo, perché avresti avuto, insulso Bo, come il nome che ricorre da Nomadland e ti identifica, il piacere di goderti la primavera, scappando dai poliziotti, e i giorni senza prezzo. D’altronde se è da un pezzo che i comedian han preso l’andazzo di spiegarci come si sta al mondo, agli scrittori non resta che far ridere, cosa che puntualmente riesce in forma di cinquina alla lotteria di quelli che sanno stare al mondo (delle cui operette poco importa, farà strage il tempo, ma di cui nessuno ricorda una presa di posizione, un’idea, un’opinione non si pretende nemmeno immorale).
Si può anche far finta d’essere consapevoli che non si possa stare nel sistema criticandolo, pena l’esserne esclusi (facile sfottere Bezos, provare con Reed Hastingsuna volta per vedere l’effetto che fa), moltiplicandosi e commentandosi come in una mise en abyme in video montaggio ma a quel punto è più elegante un bel tacere (in Massachusetts pare si traduca “shut the fuck up!”) e non si serve la volée per far dire alle major d’essere democratiche mentre ti etichettano su Wikipedia come “politicamente scorretto”: sarà un caso ma l’unico elemento vintage è uno specchio con la cornice, lì a significare che anche se non sei la più bella del reame pure il paradiso dei calzini va meritato. You Can’t Survive on Ideas Alone, ma si possono ancora mangiare e morire da uomini liberi e di morte lenta.
- Per altri (S)visti di Gabriele Nava, qui