O del perché livellare le differenze genera mostri. Come creare un character al femminile che risponda finalmente all’annosa questione che ogni attrice qualunque ribadisce per la qualunque al pigro intervistatore (o -atrice che se no scatta l’accusa di sessismo ora che pure i jack non avranno più uscite maschio e femmina, e il neutro regnerà sovrano mentre noi tutti ci chiameremo them com’era chiaro dal giorno della Creazione prima che una foglia di fico nascondendoli regalasse un’inutile gloria ai genitali nel criterio di valutazione dei figli di Dio, talmente ottusa che scatta pure in negativo da quando le donne per sentirsi realizzate si sono messe a desiderare ruoli maschili che uomini per niente maschi, e quindi almeno donne vere, rifiuterebbero per raggiunta consapevolezza: dal soldato al CEO tagliatore di teste in attesa che si tagli la sua di testa al rider con partita iva, preferendo di gran lunga dedicarsi ai lavori domestici e all’accudimento familiare), “non ci sono ruoli pensati per le donne”, senza pensare affatto che per recitare in un ruolo da protagonista occorre prima prendere possesso del contesto, e questo vale pure per gli uomini, dal cinema alla politica al sistema finanziario, mica ottenere il posto per quote rosa, cooptazione o carità, se no è ovvio che finisci a fare la donna con i pantaloni dopo esserti tolta la gonna a comando una volta quando sei fortunata o a essere pagata il 15% in meno fino alla pensione, e se proprio va bene a condire di femminilità il lato peggiore del maschilismo dei nonnetti fragili. Col risultato d’essere il totem che si sarebbe sognata Mary Shelley fosse stata un uomo e non uno scrittorucolo come Chris Bohjalian, autore della novel originale: una mostruosa strafighissima creatura femminile ma eterodiretta da una scienziata pazza che non sopporta di vedere la sua creatura salire vertiginosamente la scala sociale facendo strage a letto di orribili uomini il cui unico appeal è di possedere il potere.
Perciò, si sarà detta Kaley Cuoco, qui in veste ovvio pure di producer e quindi saltando mettendoci i dané il trial delle aspiranti attrici usa-e-getta avanti e indietro per i casting col sogno d’essere riconosciute di talento sapendo da sé di non averlo per niente, e anzi scegliendosi lei come deuteragonista il figo olandese Michiel Huisman, perché ovvio se comando scelgo chi pare a me, e potendo pure chi mi fa salire l’audience come i settimanali dell’epoca pre-politicamente corretto con culo femminile in cover o le tette sui cartelloni pubblicitari detestati da tutte quelle che non avevano da mostrare né l’uno né le altre (ma non risulta ci sia stata obiezione alcuna dal movimento #ciapano degli attori cessi per discriminazione), perciò dicevamo, interpretando il pensiero della Cuoco, ecco finalmente un ruolo dove una donna oltre a essere main character possa dimostrare al mondo le sue qualità recitative sfoderando tutto il repertorio dopo una gavetta fortunata, il big bang che mi farà esplodere di colpo nella galassia della serialità d’autore, io che rischiavo di restare ingabbiata a vita nel ruolo, peraltro redditizio, della pupa in mezzo ai nerd.
L’assistente di volo – The Flight Attendant è una serie tv Usa basata sull’omonimo romanzo del 2018 di Chris Bohjalian. Di HBO Max, da luglio su Sky Serie
Peccato che la sua Cassandra “Cassie” Bowden sia non solo meno sulfurea del Crisanti di Crozza ma riassuma in sé tutta la falsa emancipazione, non per niente adorata dalle fighette al passo coi tempi e perciò sempre in ritardo sulla Louboutin in tartaruga dall’epoca di Sex and the City, dove per creare l’hype da magazine basta adottare qualche carattere presunto maschile, dal linguaggio da caserma alla voracità sessuale senza moralismi, nel contesto rispettato della società dei consumi, dove tutto è intercambiabile o cumulabile, dall’amante al tacco 12, fatto salvo il sogno romantico del principe azzurro (poco importa se finisci a sposare e divorziare in un paio d’anni da un ballerino come Candace Bushnell o a scambiare Mister Big sul cavallo bianco con un fantino, è un attimo che ti ritrovi invece che columnist sul New York Observer o il The Indipendent a essere una Gaia Sorcini convinta d’essere Bridget Jones su IoDonna, una zitella per gli altri e una single a suo giudizio, e d’avere in dote il sarcasmo, che si fa chiudere in casa ma portare le bottiglie di minerale al piano e il pasto delivery perché lei non c’ha voglia di cucinare e poi le marcisce la roba in frigo ordinata a uno slave di Amazon) e l’up to date ai nostri presunti tempi moderni dello sceneggiatore in crisi di pensiero critico si trasforma in un delitto soporifero e in un castigo per lo spettatore.
Così Cassie si ubriaca più di un console di Sua Maestà in Messico e rimorchia come un Casanova, solo che bere in sé fa ridere una volta, poi devi essere Malcolm Lowry – e quindi né uomo né donna ma persona vera anche quando fai il verso alla tua stessa maschera – per fare della bottiglia la chiave d’interpretazione del mondo e il vettore di una lingua nuova, se no sei solo un’altra patetica creatura pronta per l’Anonima degli alcolisti inconsapevoli, mentre come sanno bene gli uomini che, non avendo in dote né charme, né capitali, né bellezza, né potere decisionale per far prendere l’ascensore a una sgallettata gonfia come un canotto almeno fino all’ammezzato del Pirellone, né una Vespa special anche con le ragnatele ma tenuta bene, si dedicano ugualmente a collezionare donne, per ottenere uno devi lavorarne mille, avendo ben presente la regola immortale di Feynman al bancone del bar (abbordare sempre tutte esordendo con un chiaro e distinto “Vuoi scopare con me?”) e accettando d’essere un ridicolo sgorbio in onore della statistica, che qua passa invece il concetto sessista alla rovescia, che siccome una donna la dà si fa pure d’emblée il manzo di turno, avendo mantenuto i privilegi d’essere femmina, olé, anche se lui è membro ad honorem dell’esclusivissimo Club dei Diecimila metri, e neppure uno di quei conigli con la merenda apparecchiata da casa che si imbarcano con la escort in aereo non avendo nemmeno le palle di infrattarsi a terra con una hostess sconosciuta in un cespuglio, che la porta della toilette più probabilmente, a questo cesso, gliela chiuderebbe in faccia.Te la produci e te la suoni, Cuoco, ma se ti affidi a uno sceneggiatore uomo che non è Flaubert, e quindi al massimo è una Emma truccata da Madame che ti concede un selfie solo se le compri un cd senza essere al contempo Charles Bovary, rischi di fare la fine del maschiaccio che scambia la sua parte femminile senza ottenere un intero, soltanto un altro dei soliti mostri; se poi non hai nemmeno il physique du rôle la femme fatale può essere fatale solo per la tua carriera e la dark comedy solo una commedia che non fa nemmeno ridere pure se a investigare senza costrutto ci si mettono in tre donne (che a fare i deficienti ci riescono da sempre meglio gli uomini e si divertono senza tema di passare per tali, basta guardare quei tre fenomeni in Bored to Death, evitando di tirarla per le lunghe rimestando isterici tra loro sui presunti torti nei rapporti d’amicizia: tre uomini e una culla sono simpatici, una poltrona per due donne non farebbe nemmeno piangere): talmente triste che pure se strilli strepiti sgrani le orbite e fai le smorfie avrai magari successo tra le donne e salvo l’ego ma la scena te la ruba pure il morto.
- Per altri (S)visti di Gabriele Nava, qui
Credit: Kaley Cuoco Haircuts 2016 by celebrityabc is licensed under CC BY-SA 2.0