Leggo volentieri i romanzi di formazione, o semplicemente di passaggio tra differenti stagioni della vita, forse perché sono spesso fatti di storie che “spostano”: se sottintendono crisi e disastro, alla fine trasportano il lettore in luoghi nuovi anche se possono abbandonarlo in un rischioso campo aperto.
È un romanzo di questi La bella indifferenza di Athos Zontini, napoletano, classe 1972, il suo secondo edito da Bompiani dopo Orfanzia (2016): per duecento pagine, illumina di una luce “altra” il mondo in cui stiamo vivendo, sicché a tratti, di giorno in giorno, così come è scandita la vicenda, diventa improvvisamente chiaro che spesso ci muoviamo a occhi chiusi in un’irreale disumanità.
Occhi chiusi. La cecità, una cecità per così dire selettiva, quasi sacksiana nel senso di Oliver, colpisce il protagonista del libro: il dottor Ettore Corbo, quarantenne assolutamente medio, perde la capacità di distinguere i volti di chi gli sta intorno. La sua vita si popola all’improvviso di manichini senza faccia, con la testa simile a un uovo.
Che fare? Corbo, sposato con un’insegnante di buona famiglia con cui cerca da mesi svogliatamente di fare un figlio, per mestiere commercialista-figlio di papà assediato da soci carogna, precipita in un inferno che non riesce a condividere.
In fondo, scopre, nessuno dei manichini che gli stanno intorno in folla sarebbe in grado di comprenderlo, di abbracciarne la diversità, mentre la sua bizzarra malattia lo porta dalla neurologia (ma gli esami non danno particolari evidenze) a un lettino di psicoanalista, serio ma impotente, a una progressiva deriva esistenziale.
Punto a capo, niente spoiler, leggete voi e costeggiate l’abisso con Corbo in una storia ambientata in una riconoscibile Italia, anche se non c’è una vera specificazione geografica.
Zontini gioca con cura la carta del surreale di impatto visivo, verrebbe da dire, quasi magrittiano in un romanzo molto reale, ed è abile a tenere l’equilibrio descrivendo la malattia di Corbo, e dell’individuo contemporaneo, senza finire nel metafisico o in una deriva medico psichiatrica.
La malattia di cui parla Zontini, nei lunghi anni della letteratura, si è chiamata di volta in volta indifferenza (appunto) e noia, nausea e alienazione, e ne abbiamo letto gli esiti: spesso, una difficile guarigione/comprensione per chi si trova per carattere o per disavventura in bilico tra ciò che non appare più autentico e ciò che potrebbe esserlo. Il tema di Zontini è questo.
Qui trovate una eccellente disanima dei rapporti di parentela in versione reale o virtuale, idem di quelli da ufficio: e la comunicazione sui social network è sottoposta ad analisi appuntite, che fanno venire il desiderio di resettare la nostra comunicazione via web.
Quando si chiude il libro (che si legge di corsa), non si può dare una pacca sulla spalla a Corbo, o guardarlo in faccia, perché lui siamo tutti noi, anche se lui è finito più lontano, forse addirittura fuori vista.
IL LIBRO Athos Zontini, La bella indifferenza (Bompiani)