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Emergenze mondiali. Gli altri coronavirus e i batteri di ritorno

Che ci fosse il pericolo di una pandemia la scienza lo sapeva da almeno vent’anni. Da quando negli ultimi mesi del 2002 nella provincia cinese meridionale del Guangdong scoppiò un’epidemia di Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome) e nel marzo 2003 l’Oms per la prima volta nella sua storia lanciò un allarme mondiale.

Marco Cattaneo, giornalista scientifico, direttore di Mind, Le Scienze e National Geographic Italia, lo ha rimarcato nell’incontro Ambiente e salute. Una relazione impossibile? a Reggio Emilia nell’ambito del Festival di Emergency. Con lui l’immunologa Antonella Viola, docente di patologia generale all’università di Padova e volto televisivo in quest’anno e mezzo di emergenza sanitaria. E se Antonella Viola si è soffermata soprattutto sulla necessità di finanziare la ricerca scientifica di base e sull’importanza della divulgazione scientifica, Cattaneo ha messo in luce qualcosa di allarmante. Perché all’inizio del nuovo secolo quella della Sars fu una pandemia sì di dimensioni ridotte «ma gli scienziati erano già consapevoli che fossero in circolazione coronavirus della stessa famiglia di quello di oggi».

Festival Emergency La cura
Al Festival di Emergency da sinistra l’immunologa Antonella Viola, il moderatore Ferdinando Cotugno e il giornalista scientifico Marco Cattaneo.

Lo aveva denunciato David Quammen nel suo Spillover, uscito nel 2012 (in Italia pubblicato da Adelphi) e predittivo in modo straordinario di quello che è successo dal 2020 in poi. Ma colpisce ancora di più un articolo pubblicato nel 2015 sulla prestigiosa rivista scientifica Nature – tra gli autori anche alcuni virologi del laboratorio di Wuhan – nel quale si diceva chiaramente che tra i pipistrelli delle grotte di alcune province cinesi erano stati trovati circa 200 tipi di coronavirus pronti a fare il salto di specie. «In un mondo che guardasse alla scienza come al suo faro» ha detto Cattaneo «i politici e i sistemi sanitari avrebbero dovuto cogliere l’allarme e agire. Non lo hanno fatto e così ci siamo trovati a fare i conti con la pandemia. Se davanti all’articolo di Nature si fossero investiti miliardi per capire come affrontare i coronavirus, se ne sarebbero risparmiati altrettanti persi per la crisi economica seguita al Covid».

Spillover David Quammen

Dal 2000 a oggi i virus nuovi o emergenti o riemersi sono stati almeno una mezza dozzina, «la prima Sars, la Mers nell’area dell’Arabia Saudita e altri». Il rapporto (malato) tra uomo e ambiente è tra le cause prime. «Siamo in 8 miliardi di persone sulla Terra e disboschiamo, trasformiamo le foreste in terreni agricoli, i villaggi si espandono e occupano le aree là dove abitualmente vive la fauna selvatica. L’incontro tra certe specie di animali e l’uomo è sempre più frequente ed è così più alta la possibilità che si trasferiscano patogeni».

Attenzione però. C’è altro di pericoloso che potrebbe esplodere. È la resistenza agli antibiotici. «I sistemi sanitari e la politica globale sanno» ha detto Marco Cattaneo «che tra dieci o venti anni le malattie infettive da batteri torneranno a essere la principale causa di morte. Abbiamo un discreto numero di batteri patogeni che ormai sono resistenti a tutti gli antibiotici e accadrà che ci saranno infezioni che non saranno più curabili. Lo sappiamo oggi ma probabilmente non ce ne prenderemo carico fino a quando non sarà un problema serio».

Un metodo (sciagurato) non diverso da quello con cui l’uomo (non) affronta il cambiamento climatico: «C’è chi lo nega. Ma già alla fine dell’Ottocento Svante Arrhenius, svedese Premio Nobel per la chimica nel 1903, aveva capito che bruciando combustibili fossili si sarebbero emessi gas serra che avrebbero riscaldato il pianeta. Arrhenius parlava di una prospettiva di “migliaia di anni”. Ma se Greta Thumberg nel 2018 ha deciso di manifestare davanti al parlamento svedese è per gli incendi che un’estate a 30 gradi aveva provocato in quel Paese dove certe temperature non si erano mai viste prima».

Che i Co2 provochino l’effetto serra lo sappiamo quindi da più di un secolo, «eppure abbiamo la percezione che il cambiamento climatico sia qualcosa che colpirà qualcun altro, chissà quando, chissà dove e che non ci riguardi da vicino. In realtà l’emergenza è qui e ora. Cominceremo a occuparcene quando ormai sarà troppo tardi».

Clima e salute globale: le previsioni non sono ottimistiche. «Rischiamo di andare incontro alla catastrofe. La mia grande speranza – anche se detta con poca convinzione – è che alla prossima conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite a novembre a Glasgow si prendano decisioni impegnative e importanti».

A noi, cittadini comuni, non resta che cercare di fare pressione sulla politica.

credit foto in apertura: “bats” by stuant63 is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

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