Variante è una parolaccia? È quello che spesso mi chiedo quando leggo e ascolto il gran parlare che si fa di questi tempi su ciò che è stato e ciò che ci aspetta a causa della pandemia. Oggi la Delta, super contagiosa, domani la misteriosa Mu e altre ne verranno, parola di virologi.
Sì, variante è una parolaccia perché ci ha stravolto la vita.
O forse no. Perché di varianti è fatta la storia dell’uomo. Lo ha spiegato bene Stefano Massini in una lezione magistrale a Modena nell’ambito dell’edizione 2021 del FestivalFilosofia.
Partendo dalla definizione «Variante è quel qualcosa molte volte minuscolo e impercettibile che cambia due esemplari altrimenti identici» Massini ha raccontato una serie di storie affascinanti (e un po’ inquietanti) sul tema.
E ascoltandolo ho scoperto che la variante sono io. Anzi, siamo noi che viviamo un’esistenza che ne è piena.
Lo scambio in culla
«All’inizio degli anni 2000 negli Stati Uniti un’infermiera sbadata scambiò i cartellini che riportavano i nomi di due bambine nate un’ora prima, variandone di fatto la vita. Quando tutto questo emerse, una delle due ragazze decise di intentare una causa miliardaria contro l’ospedale: “Voglio essere risarcita per quella felicità che non ho avuto”. La sua famiglia biologica era infatti molto abbiente mentre la famiglia alla quale era toccata per errore – per una variante – aveva problemi economici e giudiziari che avevano determinato per lei un’infanzia infelice».
La composizione musicale
«Una sera del 1898 il compositore Edward Elgar nel suo salotto di casa cominciò distrattamente a suonare un motivetto. Che bella musica, disse la moglie. Compiaciuto, Elgar le fece sentire come fosse in grado di variare quel motivetto. Nascerà una delle composizioni musicali più belle del ’900, Variazioni enigma, in cui Elgar variò lo stesso motivo musicale per 14 volte intitolando ciascuna con il nome di una persona. L’enigma del titolo riguarda i 14 citati (quasi tutti musicisti, si scoprì) e, soprattutto, il tema principale da cui Elgar era partito. Per alcuni è la Sinfonia di Praga di Mozart, per altri l’inno nazionale inglese God save the Queen, per altri ancora il Valzer delle Candele (Auld Lang Syne) o la Cavalleria rusticana di Mascagni, per uno addirittura sarebbe la variazione matematica della formula del pi greco».
I conquistatori spagnoli
«Nel 1521 le truppe di Hernán Cortés entrarono a Tenochtitlán, capitale dell’impero azteco, e la rasero al suolo. L’imperatore degli aztechi Cuauhtemoc venne fatto prigioniero. A Cortes che gli chiedeva dove fosse nascosto il tesoro di Montezuma, Cuauhtemoc non rispose mai. Così Cortes lo obbligò – davanti ai suoi sudditi – a immergere i piedi in olio bollente. Poi lo impiccò. Per secoli l’iconografia con cui i messicani hanno rappresentato Cristo crocefisso è stata quella dell’ultimo imperatore (la variante). Usarono la religione cattolica portata dagli spagnoli per raccontare il flagello di un uomo che rappresentava le loro radici, la loro storia».
Il discorso del presidente
«Oliver Sacks, medico e scrittore, un giorno notò che i pazienti con patologie neurologiche ricoverati al primo piano di una clinica ridevano tutti ascoltando in tv un discorso dell’allora presidente Usa Ronald Reagan. I degenti del secondo piano, invece, inveivano e gli gridavano contro. Sacks capì la ragione. Uno stesso discorso varia se ad ascoltarlo è chi soffre di afasia e per questo non capisce il significato delle parole ma solo la mimica e l’atteggiamento (comici, nel caso di Reagan e dei suoi modi da cowboy), oppure chi soffre di agnosia, e capisce perciò solo le parole senza essere in grado di cogliere metafore, toni, ironie. Il discorso di Reagan era identico. Ma ciascuno gli attribuì un significato specifico.
La variante non sta nell’oggettività ma nel punto di vista».
La storia dell’arte
«L’annunciazione, la Pietà, la Crocefissione: ognuna è stata interpretata e raccontata con varianti che hanno fatto la ricchezza della storia dell’arte. L’annunciazione di Simone Martino, quella di Leonardo da Vinci, quella di Caravaggio sono tutte diverse. Così come la Pietà di Giotto è differente da quella di Michelangelo, diversa a sua volta da quella del Mantegna. Il soggetto è lo stesso ma la variante nasce da chi lo racconta».
Le fiabe queste sconosciute.
«Ci sono fiabe che hanno una storia millenaria di varianti.
Oltre 2.600 anni fa in Egitto si raccontava di una fanciulla alla quale il Dio Horus prese una pantofola rossa che portò in volo al Faraone che poi la sposerà (proprio come il principe azzurro sposò Cenerentola). Tre secoli prima in Cina si narrava di una giovane a cui lo spirito della madre aveva lasciato dei sandali dorati. Tornando da una festa ne perse uno. Che venne trovato dal principe che andò a cercarla (con relativo lieto fine). Nel 1634 in Italia Gian Battista Basile scrisse La gatta cenerentola, ripresa in seguito da Charles Perrault e dai fratelli Grimm, e in questo caso Cenerentola, chiamata Zezolla, era tutt’altro che una bella persona (fece uccidere la matrigna).
Anche Biancaneve nasce come storia horror. Nella versione originale ha 7 anni e a guardare lo specchio delle brame per sapere chi è la più bella del reame non è la regina cattiva ma la madre che decide di farla uccidere quando si accorge che la figlia sta diventando più bella di lei. Ma il cacciatore non ci sta. E porta alla donna pezzi di carne di cinghiale – che lei mangerà – spacciandoli per il corpo di Biancaneve.
Sono fiabe che sono state variate nel tempo, perché oggi mai nessuno le racconterebbe in versione originale a un bambino».
La variante siamo noi
Quelle sopra sono solo alcune delle tante storie con cui Stefano Massini ha raccontato la variante.
«Viviamo di varianti, noi stessi lo siamo» ha ricordato a una platea a cui era riuscito a far dimenticare il Covid. «Siamo figli di quello 0,0000…di variante che a un certo punto nell’evoluzione umana ha fatto sì che dall’Australopiteco nascesse prima l’Homo habilis e poi l’Homo erectus».
Ci sono pagine della Divina Commedia che bene spiegano questa storia. «L’ultimo canto del Paradiso, il 33°» ha detto Massini e poi lo ha recitato «è un trattato di filosofia in versi. Dante, che per arrivare a vedere Dio ha dovuto vedere anche la perdizione dell’essere umano, dice: “Io cerco di raccontarvi cosa ho visto ma non ho le parole perché sono un essere umano e come tale abituato alla variante, a vedere i cambiamenti delle cose, mentre Dio è assenza di variante, assenza di variabile. Dio è una ruota che si muove sempre uguale a se stessa, senza fermarsi mai, senza incontrare un sasso, un’asperità del terreno. Dio è la pienezza che non incontra incidenti».
Foto in apertura: © Serena Campanini