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Davide Orecchio, Storia aperta (e politica) di un uomo del secolo breve, da M. al Pci

È lecito nutrire dubbi sulla necessità dì conoscere la storia, sulla possibilità di legare il passato e il presente per ricavarne una qualche consapevolezza e, al più, una qualche presa sull’oggi – leggi Marc Bloch, leggi le vecchie lezioni di Edward Carr. Ma è di certo assodato quanto sia tossico vivere in una società che conosce solo il presente continuo, servito appiattito sui social network: tra tweet nazistoidi e immagini del duce a petto in fuori, rimpianti per banconote fuori conio e confronti numerici, quasi “sportivi”, tra Shoah e Foibe, per non dire di plutocomplotti e Grandi Reset trattati non da leggende e fole ma come dati di inequivocabile realtà.

Ecco. Forse è per reazione che la letteratura italiana di questi tempi indaga, smonta e rimonta ciò che accadde nel secolo breve, sia pure con diversi metodi e riuscite. Cito al volo i due M. di Antonio Scurati (Bompiani), fotoromanzi popolari perché istruttivi sul fascismo e dintorni, oppure il romanzone famigliare, quasi anticato, Prima di noi di Giorgio Fontana (Sellerio). Forse è anche questo, un atto di rispetto alla storia politica cancellata dall’ignoranza – oltre che una forte, quasi coercitiva, ragione biografica – a battezzare la nuova prova, eccentrica e ambiziosa, di Davide Orecchio, che presenta molti motivi d’interesse non ultimo la forma scelta.

Storia aperta (Bompiani) è in oltre 700 pagine la vita di Pietro Migliorisi, uomo del Novecento, che quasi tutto lo percorre: questi è l’alias del padre di Davide Orecchio, Alfredo, e insieme di altri “bambini diacronici” – che hanno potuto lasciare testimonianza scritta – del loro tempo. Orecchio figlio ne ricostruisce la vicenda umana attraverso una complessa tessitura di testi, in primis le pagine lasciate dallo stesso Alfredo, edite e inedite, e poi ogni sorta di documento – studio storico, romanzo o memoria, saggio o articolo, lettera, telegramma, dispaccio o detrito uscito dal tritarifiuti della storia – un tutto di cui nella Nota finale offre un sunto completo accanto a un utile dizionario biografico – Mario Alicata, Giorgio Chiesura, Fausto Coen, Felice Chilanti, ma pure Antonello Trombadori…, chi erano costoro?

Forma aperta tra storia e romanzo

Orecchio scrive nel solco di una dicotomia identitaria che richiama a specchio quelle che di volta in volta attanagliano il protagonista: si muove tra verità storica, documentaria, e verità di fantasia, per così dire, ma sintonizzata su reali drammi, cadute e riscatti della generazione dei padri – in un montaggio che decide tutto, ossia il ritmo e il tono – lirico e quotidiano, burocratico ed epico, assertivo e ripetitivo fino alla paranoia – di una narrazione variata spesso nel suo scorrere: prima e terza persona, poi un tu incalzante, persino un dialogo tra Migliorisi e noi che abitiamo nel suo futuro. La “storia aperta” arriva infatti a lettori al riparo di “schermi siderali e lontani”.

Per fare un esempio. Il diario del “bambino all’attacco” nell’impresa abissina, in uno dei capitoli più belli e significativi del romanzo, amplifica il reale e la banalità feroce della guerra in un referto diaristico e collagistico di frasi ribattute che porta alla mente testi e combattimenti letterari anche molto lontani, dai conflitti mondiali guardati da Claude Simon al Vietnam di The things they carried di Tim O’Brien (no, Carver, quello non c’è e non ci sarà), fino alla “violenza illustrata” di un Balestrini. “Io sono un pazzo, io voglio uscire dal tempo”, dice comunque il protagonista invece di eternarsi nell’uomo nuovo dell’Impero.

L’immutabile Italia fascista

Dalle pagine nere del fascio si può evadere, e lo attesta questa neo nékyia (citazione dall’aletta di copertina), in un mondo nel quale dovrebbe splendere il sole dell’avvenire… Pietro il fascista-non fascista è adesso diventato Pietro il comunista-non comunista, in una tipografia fucina di Mime, che ospita sia Paese Sera sia L’Unità, tipografia descritta neanche fosse il centro nevralgico della comunicazione d’Italia – ed erano davvero altri tempi – nel giorno spaventoso dell’attentato a Palmiro Togliatti. Togliatti per Migliorisi è l’altro padre, femmineo e severo, dopo M. pallone gonfiato a elio, ma la consapevolezza di Pietro, nonostante la disciplina del partito comunista ne vessi la vocazione da scrittore, non permette a chi legge di cadere nel gioco nichilistico degli estremi che si toccano.

Pietro vede, sente, sa – e il processo per la morte di Wilma Montesi cui partecipa da cronista glielo conferma – di che cosa è fatta l’immutabile Italia. “Nel mondo di sotto, nel mondo di mezzo, nel mondo di sopra: si beneficia di una propulsione fascista… I fascisti prevalgono. Ora servono i democristiani”.

Togliatti in ospedale. In alto, Togliatti a Milano

Ho parlato prima di storia da recuperare, da imparare o reimparare, ma conoscendo l’ignoranza programmatica della destra italiana, dubito che leggerà appassionandosi da pagina 291 (anno 1946) in poi, visto che Orecchio ricostruisce persino con pedanteria la faticosa e impaurita strada di un uomo nella sinistra della seconda metà del Novecento. Tanto che Orecchio, oltre a una traccia principale, diciamo di realtà, propone in brevi capitoli magistrali altri sviluppi della vita di Pietro, per esempio in versione “rosso” o “dolce” – la sliding door sono i fatti d’Ungheria – spalancando addirittura la sua “storia aperta”. E insieme esemplifica la similitudine o l’identità tra il farsi della storia – con la sua “continua trama di biografie individuali e di eventi collettivi”, con il suo “incessante svolgersi del passato nel presente” – e lo scrivere un romanzo (vedi pag. 452), un’opera che mescoli a sua volta politica e privato, anche sentimentale: quest’ultimo è un fattore che qui abbiamo trascurato, ma che fornisce un’altra notevole pista di lettura e un controcanto di maggior libertà narrativa, fino a concedere a Orecchio un approdo melodrammatico.

Storia aperta e le sue fonti, che moltiplicano il numero dei testi in grado di rispondere alla domanda “ma adesso, la verità, chi la racconta?” è un libro intelligente e molto generoso – raramente prolisso o poco “passato” – che nel mistero (svelato?) di un uomo permette di confrontarsi con i nuovi fascismi e i fantasmi della sinistra attuale. Non fosse che per questo, vale la pena di farci i conti.

IL LIBRO Davide Orecchio, Storia aperta (Bompiani)

A margine Orecchio ha esordito nel 2011 con i racconti Città distrutte: sei biografie infedeli (Gaffi, 2011 e Il Saggiatore, 2018). Uno di questi è Episodi della vita di Pietro Migliorisi (1915-2001), primo assaggio di un testo incubato forse da sempre e costruito in vent’anni di ricerche e letture.

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