Dicono che potremmo essere pochi. Che potremmo raggiungere a stento il 50 per cento. Noi, uomini e donne che domenica e lunedì eleggeremo (o almeno, manderemo al ballottaggio) i sindaci di alcune tra le più importanti città italiane.
I sondaggi sulle amministrative del 3 ottobre mettono in evidenza una volta di più quanto la gente si stia allontanando dalla politica.
Un’analisi lucida sulla crisi della politica e sul rapporto tra democrazia e populismo l’ha fatta Marc Lazar, professore di Storia e sociologia politica all’Institut d’Études Politiques (IEP – Sciences Po) di Parigi (dove ha diretto anche un gruppo di ricerca sull’Italia contemporanea), nella lezione magistrale che ha tenuto a Carpi, nell’ambito dell’edizione 2021 del FestivalFilosofia.
«Il populismo nasce dalla crisi della politica, ma non solo» ha detto Lazar. Negli ultimi 20 anni soprattutto sono cresciuti la sfiducia verso le istituzioni e verso i politici accusati di badare soltanto ai propri interessi, non ascoltare le persone, essere corrotti, mostrarsi impotenti nei confronti dell’economia. Un malessere forte cavalcato nel nostro Paese da partiti come Lega e Fratelli d’Italia.
Ma il populismo ha anche altre radici. «C’è la crisi sociale, con le disuguaglianze sempre più profonde tra generazioni, tra uomini e donne, tra nativi e immigrati. Il lavoro precario e la disoccupazione hanno fatto crescere la povertà e le difficoltà anche nelle classi medie».
E poi c’è la crisi culturale «che ha portato con sé questioni identitarie e l’interrogativo sulla propria appartenenza collettiva». Facciamo parte di una regione, di una nazione, dell’Europa?
«La spinta propulsiva delle nostre democrazie liberali e rappresentative è esaurita» ha detto Marc Lazar citando Enrico Berlinguer. Democrazie che da una parte sono liberali ma meno democratiche «poiché il potere del popolo è imbrigliato dal peso assunto dal denaro, dalle Banche Centrali, dall’aumento di potere degli esperti e della tecnocrazia, dalle Corti Costituzionali e dall’Unione europea». E dall’altra sono destabilizzate dall’avanzata dei populisti che si proclamano democratici e impazienti di ripristinare il potere del popolo ma ostili al liberalismo politico.
La conseguenza è che quasi un terzo degli Europei arriva a dubitare dei meriti e delle virtù della democrazia liberale e rappresentativa, considera concepibile un regime diverso e cerca l’autorità, «che non è autoritarismo» ha precisato Lazar «essendo molto forte l’aspirazione alla libertà individuale, intesa come faccio ciò che voglio».
E allora?
Ci sono osservatori che sostengono che la pandemia e la svolta dell’Unione europea con il suo piano di rilancio Next Generation EU abbiano segnato una svolta. Che l’avanzata dei populisti si sia fermata e che presto si tornerà a una situazione di normalità almeno in una parte di Europa, perché in un’altra – Ungheria in testa – il populismo è invece bel saldo. «Credere che ci si sia sbarazzati dei populisti sarebbe un grave errore» ha ammonito Lazar. «Ci sono ancora e possono continuare a prosperare sulle tre grandi cause che spiegano il loro successo. L’universo politico continua a essere percepito negativamente dagli Europei».
E così si arriva all’interrogativo di fondo: «Saranno capaci le nostre democrazie di rinnovarsi da cima a fondo, di integrare le persone che si rifugiano nell’astensionismo e nel voto protestatario-populista, di favorire la partecipazione civica, di far emergere nuovi responsabili politici che riflettano meglio la complessità e la diversità delle nostre società?».
La risposta di Marc Lazar è questa: «Difendere la democrazia non basta, o meglio non basta più. Si tratta di approfondirla e di estenderla».
Noi, intanto, vedremo come andrà il 3 ottobre.
Foto in apertura: © Serena Campanini