Luigi Ferro ha pubblicato con Mauro Colombo, Maurizio Harari, Andrea Maietti e Roberto Torti il libro 1908 F. C. Inter: Le storie (Hoepli)
Raccontare le vicende di una squadra di calcio significa anche raccontare un pezzo di vita personale, le vicende di una comunità, l’evoluzione di un mondo. È un racconto sviluppato nel tempo che di recente ha visto calcare la scena del giornalismo sportivo anche da “belle penne” capaci di accentuare il lato romantico da una parte e il collegamento fra le vicende della squadra e gli anni in cui si svolgevano.
Un Paese alla Facchetti o alla Gasp
Penso per esempio a L’ultimo rigore di Faruk, storie di calcio e di guerra dove Gigi Riva racconta del penalty simbolo dell’implosione della Jugoslavia, a Le canaglie di Angelo Carotenuto con la Lazio di Chinaglia e Re Cecconi e quella Roma violenta. Ma anche al più recente libro di Massimo Arcidiacono che ha raccontato la storia di Giacinto Facchetti ne Il terzino cannoniere facendone un simbolo di un’Italia che poteva essere e non è stata seguendo le parole di Giovanni Arpino, che disse: “Vorrei che ogni famiglia italiana avesse un figlio come lui, saremmo un Paese diverso senza il novanta per cento dei nostri guai”.
Netflix invece ha documentato l’importanza sociale di una squadra di calcio raccontando le vicende del Sunderland, mentre in Italia potremmo fare l’esempio dell’Atalanta. Anche Hoepli si è cimentata nel racconto sportivo pubblicando negli anni un libro sul Milan, la Juventus e proprio in questi giorni quello sull’1908 F. C. Inter: Le storie del quale sono uno degli autori.
Storia, tifo e adrenalina
Sono libri molto articolati, divisi in introduzioni del periodo storico, capitoli e box e raccontano la storia della squadra attraverso i campioni, le partite, gli episodi, vittorie e sconfitte. Sono libri scritti da tifosi che attingendo anche ai ricordi personali rievocano un calcio che non c’è più, parlano di giocatori che non erano brand, di quando si andava allo stadio con il cappello regolarmente lanciato in campo a fine partita soprattutto in caso di sconfitta, dei pestaggi, come li ha definiti Massimo Moratti nell’intervista che chiude il libro sui nerazzurri, che contrassegnavano le partite del dopoguerra. Persone ancora cariche dell’adrenalina degli anni difficili allo stadio si infiammavano e litigavano con il vicino. Tutti si alzavano in piedi a seguire la colluttazione che si esauriva in fretta e al massimo lasciava un occhio nero.
Nelle pagine di questi libri scorre un’Italia che non c’è più e che mostra i suoi cambiamenti anche con i presidenti che si avvicendano sulla scena. Non essendo di così larghe vedute non ho approfondito la storia del Milan e tantomeno della Juve, così mi concentro sui presidenti interisti a partire da quel Masseroni al quale il regime “consigliò” l’acquisto dei nerazzurri. Lui amava il ciclismo e il pugilato, all’epoca più popolari, ma obbedì uscendo di scena dopo un paio di scudetti negli anni Cinquanta quando compare un nuovo imprenditore Angelo Moratti che cambierà il volto del calcio italiano. Dopo di lui mi viene in mente solo Berlusconi per l’impronta lasciata.
Il calcio di Angelo Moratti
Moratti, un imprenditore di nuova generazione che lavora in un settore nuovo come quello degli idrocarburi, si dimostra uno straordinario innovatore che al primo punto del suo programma dice di volere creare una società non legata al mecenate di turno ma che viva di vita propria come una normale azienda. È una visione straordinariamente moderna se pensate che ancora oggi solo poche società al mondo possono dire di avere raggiunto questo obiettivo. Perché ci vuole una squadra forte che vinca, un brand da esportare nel mondo, campioni che costano parecchio, marketing adeguato e stadi di proprietà da fare diventare luoghi di divertimento da far vivere durante tutta la settimana e una società molto articolata. Al Tottenham, non la prima squadra della Premier league, lavorano seicento persone. Moratti costruisce una società che diventa un modello a livello europeo per i successi sul campo e per l’organizzazione. Con Allodi alla scrivania ed Herrera in panchina forma un team dirigenziale che sostiene quel Sarti, Burgnich, Facchetti… la squadra che diventa una filastrocca conosciuta anche da chi di calcio non sa nulla.
Nonostante sia stato il Milan a vincere come prima squadra italiana la Coppa dei Campioni nella memoria dei tifosi non solo italiani rimane in mente quella squadra guidata da Herrera, uno che cambia il ruolo dell’allenatore. Se oggi ci sono Mourinho e Guardiola, vere star del pallone, è perché prima c’è stato quell’argentino dai modi un po’ cialtroneschi che all’epoca guadagnava di più dei suoi giocatori. E se Mou è arrivato a Milano è anche perché Moratti ha rivisto in lui la nuova versione del Mago. Quando gli ho chiesto se avesse scelto il portoghese anche per l’evidente assonanza con Herrera, Massimo Moratti si è spinto in avanti con il busto guardandomi negli occhi: “Sicuro”.
La squadra azienda di Berlusconi
Al placido Fraizzoli, borghesia lombarda che subisce la minaccia romana di Andreotti di togliergli l’appalto per le divise dell’esercito se avesse comprato Falcao, succede il rampante Pellegrini figlio di una nuova Milano. Soltanto che di quella nuova Milano fa parte anche Berlusconi che è più rampante di lui. All’insegna del motto “Il calcio è come un’azienda” lottano per la vittoria. Ma l’Ernesto ci riuscirà solo in parte, quell’altro è troppo forte. Poi il successo passa anche per i dettagli.
I milanisti ringraziano ancora la nebbia di Belgrado, raccontata in uno dei capitoli della Fabbrica della nebbia di Gino Cervi, mentre gli interisti vorrebbero abbracciare quel barista di Forte dei Marmi che un giorno servì un caffè a Moratti spiegandogli che per vincere la Champions ci voleva uno come Wesley Sneijder capace di fare girare veloce la palla. Moratti lo ascolta, lo compra, l’Inter vince il Triplete e il barista, eroe dei nostri tempi, scompare anche per i giornalisti che lo cercano. Tifare però è anche sofferenza, gli interisti lo sanno bene anche se la squadra tragica per eccellenza, a mio parere, rimane la Roma. Ma noi per anni non abbiamo più vinto la Coppa più importante e quando è successo mi sono trovato in fila con altri della mia età, all’epoca 47 anni, per fare una foto con la mitica Champions. Un’iniziativa benefica dell’Inter con Emergency, Gino Strada altro grande interista. Quello prima di me entra e la signora al banco gli chiede: “Ha aspettato molto?”. La risposta è il grido di dolore del popolo nerazzurro: “45 anni signora”.
Il libro. Luigi Ferro, Mauro Colombo, Maurizio Harari, Andrea Maietti, Roberto Torti 1908 F. C. Inter: Le storie (Hoepli)
Credit: siamo l’Inter in foto by massimo ankor is licensed under CC BY-NC 2.0