Esistono scrittori che dipendono quasi integralmente dal passato e ne cercano scrivendo con ogni espediente (retorico) il recupero, quasi il reload, come se il passato fosse l’unico specchio (ma è in frantumi!) per riflettere il presente o addirittura per poterlo vivere.
“Vivre, c’est obstiner à achever un souvenir”: con un verso di René Char in esergo si apriva nel 1977 Livret de Famille di Patrick Modiano (Boulogne-Billancourt, 1945) il quale è uno di questi scrittori che si guardano alle spalle. Modiano che è spesso considerato troppo leggero se pesato sulla bilancia del premio Nobel ricevuto nel 2014, ma è leggero, ai limiti dell’inconsistenza, proprio perché nelle sue pagine ordinate, nei brevi paragrafi che le compongono, compilati come un diario forzatamente ellittico, Modiano di incorporee memorie e di vecchi fantasmi si è sempre ossessivamente occupato.
Inchiostro simpatico (Encre Symphatique, Gallimard 2019, Einaudi ottobre 2021) è il nuovo titolo in libreria, e vi ricompare in cliché il ragazzo senza padre, senza radici note, che si incarna in un impacciato detective, la cui inchiesta malinconica finge quasi di imboccare, come già in romanzi precedenti ma qui più compiutamente, la pista del noir – di malinconia e non di nostalgia parlo, perché Starobinski ha spiegato bene, e Modiano lo sa da subito, da prima ancora di iniziare a cercare, che al suo eroe (e a noi) spetta un misero “nostos” pur muovendosi nella Parigi più misteriosa e mitica della storia della letteratura contemporanea.
Il detective e il fantasma
È uomo da infinite e virtuosistiche variazione su un tema Modiano, questo signore alto ed elegante, invecchiato quasi senza apparire tra le macerie della Parigi del Dopoguerra, che percorre ancora con la penna, alla ricerca di caffè nebbiosi in una topografia assai precisa ma svaporata nel tempo, tra individui eccentrici dai nomi strani e dai commerci enigmatici per il ragazzo di allora, un ragazzo magari colpito da una ragazza di cui immortala un tic, l’onda dei capelli che cade per una frazione di secondo sugli occhi, la figura che si alza tra i tavoli di un locale nell’alba di Parigi, prima che lei si volti verso la porta e in un attimo esca per sempre di scena, come l’innocente e misteriosa Louki di Nel caffé della gioventù perduta (Gallimard 2007, Einaudi 2010). Cercate la femmina, in Modiano, e tutto quello che è attorno a lei.
Ma guardiamo da vicino come lo scrittore ha rimesso giù le sue carte in Encre Sympathique. Il primo capitolo è paradigmatico del teorema (dello stile, del vizio) Modiano.
Un uomo anziano ricorda di aver lavorato da giovane e quasi per caso in un’agenzia investigativa, dal signor Hutte, di cui niente di più ci dice. Di quell’esperienza fugace di quasi mezzo secolo prima gli resta in mano oggi solo una fiche e il nome di una ragazza, Noëlle Lefebvre.
Scomparsa, era stata l’oggetto della sua prima missione, che l’uomo rievoca con poche e incerte parole, costantemente messe in dubbio dalla memoria. Nella ricostruzione della sua inchiesta, condotta al buio, con l’unico appiglio di qualche nome di persona o di via, rimpiange di non aver avuto con sé un magnetofono. Avrebbe per esempio potuto registrare la conversazione balbettante, a tentoni, avuta in un caffè con un sedicente conoscente di Noëlle Lefebvre, la qual cosa gli darebbe ora il senso e il sollievo di vivere in un “eterno presente” – ed ecco qui, nero su bianco (anzi nero sui “blancs dans la vie”), in una formula che ritorna anche più tardi nel testo, un’idea del passato – arto mancante e infinito vuoto da riempire – che sottintende l’utopia struggente della sincronia, di una sorta di contemporaneità tra ciò che è e ciò che è stato.
Le città dell’eterno presente
L’uomo confida di non essere un vero detective, ma di aver visto in quella professione il primo passo per diventare scrittore, quasi fosse un allenamento per conoscere il mondo e imparare a sbrogliare la matassa che aggroviglia i rapporti tra gli uomini, cosa che si può fare solo guardandoli da lontano, da testimone – tutti i personaggi, tutti gli altergo di Modiano, notiamo en passant, osservano e non sono stati in grado, e a maggior ragione non lo sono ora, di interagire con la realtà o di modificarla.
“Chi vuole ricordare deve affidarsi all’oblio, a quel rischio che è l’oblio assoluto e alla buona fortuna che diventa il ricordo”, questo l’esergo illuminante del romanzo, da Blanchot. L’uomo di Modiano lo rende suo. Guarda indietro al brandello di passato che gli è rimasto in mano e perché emerga qualcosa di perduto, per vederlo ricomparire come una frase scritta appunto con l’inchiostro simpatico, capisce presto che non deve cercare ma affidarsi al caso e alla memoria involontaria, l’unico mezzo capace di sottrarre volti e luoghi all’oblio.
Noëlle Lefebvre non è nessuno per l’uomo che ricorda, era e può rimanere una sconosciuta, ma è il nome attorno a cui nasce l’attrazione di un mondo svanito – e mai posseduto, questa è la vertigine non solo letteraria del romanzo. Noëlle Lefebvre è il nome passe-partout che illude di poter tornare indietro e raggiungere una sorta di sapere compiuto. Anche se questo rischia di portare al peggio: riempire tutti i “blancs dans la vie” equivale a morire, perché morta è la vita senza scopo.
Buon viaggio ai lettori nel tempo e nelle città del tempo immobile: oltre Parigi Roma, non per caso detta “eterna”, ma di più non spoileriamo. Avvisiamo invece che in Francia è già uscito da Gallimard un nuovo romanzo di Modiano, una nuova storia di fantasmi, Chevreuse. Per saperne di più, qui
IL LIBRO Patrick Modiano, Inchiostro simpatico, traduzione di Emanuelle Caillat (Einaudi).