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Contro la violenza sulle donne. Beginning, il cinema spietato di Déa Kulumbegashvili

Esce nei cinema Beginning della regista georgiana Dea Kulumbegashvili, in anteprima dal 25 novembre per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Dasatskisi/Beginning/L’inizio è costruito in 35 mm e con il “vecchio” rapporto d’immagine 1:33, per servire una sintassi severa: quadri fissi, per lo più, dentro i quali entrano ed escono i personaggi. Oppure ci finiscono incasellati, come inchiodati alle loro esistenze faticose.

Sembra che l’obiettivo di Déa Kulumbegashvili – nota per i corti Invisible Spaces (2014) e Léthé (2016) e qui a un nitido debutto nel lungometraggio – sia una sorta di telecamera di sorveglianza simile a quelle che hanno ripreso – ma conosceremo mai i colpevoli? – l’attentato con cui il film comincia: il fuoco contro la casa della preghiera di una comunità di testimoni di Geova, che abitano un’apparentemente tranquilla cittadina georgiana di prevalente religione cristiano ortodossa – forse la Lagodekhi ai piedi del Caucaso dov’è cresciuta la regista.

Dal generale al particolare, dalla cerimonia interrotta nello spavento al rapporto in crisi tra il pastore David (Rati Oneli) e la moglie Yana (l’intensa, si sarebbe detto una volta, Ia Sukhitashvili): lei accusa lui di averla portata, col figlio, in un luogo inospitale, spinto dalle sue ambizioni in ambito ecclesiale. Lo lascia quindi partire in solitudine, quando David si reca a consiglio dai superiori della sua religione. È l’intero impianto della comunità patriarcale in cui Yana insegna catechismo – che cosa è l’inferno e che cosa è il paradiso? – a essere divenuto soffocante per la donna.

“Mi guardo allo specchio e vedo una sconosciuta che mi guarda” dice Yana, che ha lasciato la carriera da attrice per sposare il missionario. Anche lo specchio rimanda dunque un’inquadratura poco rassicurante.

Noi seguiamo-spiamo la vicenda del film dalla telecamera di sorveglianza, dallo specchio spietato, ma anche, a tratti, da una lente di microscopio, che gela con la freddezza di un referto scientifico il minuto svolgersi delle azioni in un paesaggio naturale quasi materico.

È in tale modalità che assistiamo – quando già da un po’ ci siamo accorti che non siamo in un film di Bergman, dopo il primo confronto in camera da letto tra lei e lui – a una scena di violenza uomo-donna quasi insopportabile, perché guardata da molto lontano e come se a filmare non ci fosse nessuno, nessuno a farci compagnia nel nostro atto coatto da voyeur.

Dasatskisi/Beginning/L’inizio si imparenta con la Nouvelle Vague romena di Mungiu e Puiu – quante attese in anticamere e in pianerottoli visivi che ricordano Sieranevada – e con il cinema minaccioso di Haneke: persino troppo perfetto e snob (eh be’, un po’ sì) oltre che assolutamente nudo come il viso di Yana-Ia Sukhitashvili, lascia capire molto bene perché aveva come titolo di lavorazione Naked Sky.

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