Quanto è grande il quadro?
Una domanda semplice ma non per questo meno importante di altre. E serve per entrare nello spirito della mostra che, a Milano, la Fondazione Prada dedica fino al 27 febbraio a Domenico Gnoli. La mostra, concepita da Germano Celant, riunisce più di 100 opere realizzate dall’artista dal 1949 al 1969 accompagnate da altrettanti disegni. Progettata dallo Studio 2×4 di New York, grazie alla collaborazione con gli archivi dell’artista a Roma e a Maiorca, l’esposizione occupa due piani del Podium: al primo la biografia di Gnoli è ricostruita da disegni, schizzi e documenti disposti in ordine cronologico, mentre al piano inferiore i dipinti sono ordinati in serie tematiche. Meglio partire dall’alto e poi scendere a osservare le tele.
In apparenza due mondi: Gnoli illustratore e Gnoli pittore. Il primo crea scenografie che accolgono architetture, oggetti e figure con un disegno dal tratto eccellente ed elegante. Le illustrazioni sono ricche di personaggi e di elementi fantastici, ma la cura e l’abilità del disegno trasferiscono la magia su un piano documentario.
Illustratore celebrato a Parigi, a Londra, dove gli commissionano scenografie e costumi per la commedia di Shakespeare As You Like It, a New York e a Chicago, Domenico Gnoli nel 1956 scriveva alla madre che il lavoro teatrale lo distraeva dall’essenziale.
Ed è quell’essenziale che trionfa nelle sue tele, realizzate quasi tutte fra il 1964 e il 1970, quando all’età di 37 anni Domenico Gnoli muore a New York.
Torna la domanda, semplice ma mai sciocca: quanto è grande il quadro? Perché il formato è fondamentale nella percezione di un’opera in quanto crea un rapporto fisico tra lo spettatore e la tela, un confronto e un’atmosfera d’intimità e familiarità che nessuna fotografia o riproduzione sui testi può generare. Ogni passaggio che trasferisce l’originale sulla carta è un piccolo tradimento nel rapporto tra l’osservatore e la tela.
Per conoscere le opere di Gnoli è necessario vederle nella loro dimensione originale.
Le sue serie tematiche hanno dimensioni imponenti. L’aspetto dei suoi quadri abbaglia, offrendo allo sguardo il particolare che occupa l’intera tela. Il micro diventa macro e lo spazio è tutto dedicato ai dettagli della borghesia degli anni Sessanta.
Una ciocca di capelli, una poltrona, un paio di scarpe, il particolare di un vestito, di una tovaglia, di un copriletto s’innalzano a soggetti autonomi nella rappresentazione. Sono la sillaba più importante del linguaggio pittorico dell’artista, quella che ritorna in quadri come Curl e Curly Red Hair, entrambe del 1969.
Domenico Gnoli prima, e lo spettatore poi, posano lo sguardo su una parte di qualcosa. L’artista la presenta con un disegno costruito da linee controllatissime e da un colore che si fa materia. Viene voglia di toccare quei tessuti, quelle cravatte, quel ciuffo.
“Grazie alla Pop Art la mia pittura è diventata comprensibile”, scriveva alla madre nel 1965. Un uomo colto e, va detto, affascinante come Domenico Gnoli conosce bene lo spirito dell’arte che circola in America negli anni Cinquanta.
Tuttavia, la monumentalità, l’inespressività, i valori plastici, la rappresentazione distaccata nelle sue opere non sfuggono a un confronto con la pittura del Quattrocento italiano e di Piero della Francesca perché Gnoli riprende l’idea della classicità attraverso effetti di realismo assoluto e di monumentale metafisica.
In questa atmosfera misteriosa si fa strada la sua poetica.
Della sua arte si dice sia silenziosa perché nella materia, così come Gnoli ce la presenta, non c’è rumore ma solo forma, resa con tanta efficacia da illudere che il colore sia un tessuto e la linea una rientranza. Con una concretezza assoluta e tangibile.
Lui stesso confessava la volontà di non intervenire contro l’oggetto per permettere che da esso si sprigionasse la magia.
Quella magia che, dal punto di arrivo dell’invenzione dell’artista, permette a chi osserva di partire con la fantasia e immaginare chi indossa quella cravatta o chi si nasconde sotto quella coperta in Due Dormienti del 1966.
Racconta storie, Gnoli, con la grafica e con la pittura, ma lascia allo spettatore il privilegio di pensarle, e così lo seduce.
In apertura: Veduta della mostra “Domenico Gnoli” / Exhibition view of “Domenico Gnoli” Fondazione Prada, Milano Foto / Photo: Roberto Marossi Courtesy: Fondazione Prada Da sinistra a destra / From left to right Inverno, 1967 Dormiente n.1, 1966 Due dormienti, 1966
Una pubblicazione scientifica, edita da Fondazione Prada e ideata graficamente da Irma Boom, completa la mostra. Attraverso un nuovo saggio scritto per la mostra da Salvatore Settis e due parallele cronologie illustrate che inseriscono Gnoli nel tempo storico e artistico in cui opera, il volume ricostruisce la carriera e la biografia dell’artista.