Morsi (Bompiani) di Marco Peano è ben inscritto in ascissa e ordinata tra “storia di piccola comunità” e “horror con simil zombie”. All’interno del campo trovano posto, con nitida presenza, una serie di topoi appartenenti ai due generi di cui sopra, abilmente interpretati dallo scrittore piemontese, classe 1979.
Dalla ragazzina innocente e molto sensibile, quasi sensitiva, alla vecchia strega dal cuor d’oro – masca, nel dialetto che colora a tratti la narrazione di una patina arcaica – dal padre inetto e ubriacone, che fa la guardia d’inverno a una stazione ferroviaria (impazzirà?), al ragazzo di montagna che somiglia guarda un po’, e qui usciamo dal mondo pop, al grande Meaulnes.
Ecco. Ci troviamo nella geografia invernale di gelidi paesini del Piemonte – in tempi in cui non esiste ancora lo smartphone, e neppure il nokia, se no si smontano subito baracca e burattini: Sonia (nome lovecraftiano) Ala vive con la nonna in un rapporto di amorosa fiducia e di fastidiosi dubbi e proprio perché Sonia è “piccola”, lo scrittore ha buon gioco a farne il filtro di una serie di avvenimenti sconcertanti i quali hanno lo start in un tremendo “incidente” scolastico, allorché la severa professoressa Cardone… – ma qui ci stoppiamo per non fare spoiler con il sangue e i brani di carne viva secondo la voga splatter: nella storia infatti ci saranno molte recisioni e amputazioni, compresa quella di una “sacca scrotale”… Anche se il macello, non preoccupatevi, è iperrealista tipo quello delle graphic novel eredi di Zio Tibia (o, se siete più giovani, di Uncle Creepy).
Ecco. Peano ci porta dalla “piccola comunità” all’inferno facendo leva nella costruzione della storia sull’adolescenza. Che è – da Stephen King ad Ammaniti, per rimanere ai consumi di un lettore massa, da Stand by Me a Anna, insomma – l’ideale per mescolare realtà e incubi, lo sguardo puro al possibile delirio di chi immagina un futuro nero che gli è particolarmente spaventoso perché ha un’ignoranza strutturale del presente. Sonia non sa nulla, salvo tutto quello che ha immaginato, del macabro disastro cui va incontro, per mano a Teo Savant (nomen omen), ragazzino con codino e baffetti, saggio come può esserlo un guardiano di maiali. E noi la seguiamo in una notte di lettura senza staccarci dalla pagina.
Tutto quello che so di Marco Peano è che lavora come editor di narrativa per Einaudi, che ha curato testi e lettere di H. P. Lovecraft (smaltendo molti stereotipi rimasti appiccicati allo scrittore), e licenziato un primo e doloroso testo attorno a una reale perdita, L’invenzione della madre (minimum fax, 2015): senza filtri e senza ellissi racconta qui di una famiglia sconvolta dal cancro. Forse (con un piccolo aiuto magari proprio da parte di H. P.) questo nuovo romanzo, così diverso ma dal tema simile al precedente, è la mossa del cavallo necessaria per fare marcia indietro e imboccare un nuovo percorso.
IL LIBRO Marco Peano, Morsi (Bompiani)